Un pastore protestante francese per un Servizio sociale pratico di Bruno Bortoli – Università Cattolica di Milano
Paul Doumergue (Nîmes, 10 agosto 1859 – Parigi, 15 novembre 1930)
Paul Doumergue ha lasciato il segno nella storia della cultura francese quale ideatore e fondatore sia della rivista «Foi et Vie» (Fede e Vita), dove coniugava temi culturali e temi di azione sociale, sia di una delle prime scuole di Servizio sociale che ha proseguito lungo i decenni ed è ancora oggi un’importante sede di formazione per gli operatori sociali.
Era un pastore «riformato», aderente alla corrente protestante che si rifaceva a Giovanni Calvino, che si è trovato a svolgere la propria attività forse nel primo periodo della storia — dopo l’avvento della III Repubblica seguito alla sconfitta di Sedan del 1870 e fino alla prima guerra mondiale — nel quale la religione protestante, in Francia, ha goduto di una vera libertà di azione. Tale libertà aveva avuto modo di estrinsecarsi in un’attività missionaria e nella costruzione di templi per il culto, a partire da quelle zone nelle quali vivevano le persone più provate dalle trasformazioni economico-sociali dell’epoca: le periferie urbane che raccoglievano gli emigrati dalle campagne e che andavano a incrementare l’esercito industriale «di riserva».
A fianco di questa attività, nel movimento protestante si era fatta strada la tensione verso riforme politiche e sociali che ponessero al centro la dignità dell’uomo — e della donna — e la sua libertà, come erano rinvenibili nel Vangelo, così da creare le premesse per un avvento del Regno di Dio proclamato nel Padre Nostro. Faceva da corollario, ma anche da esempio di ciò che si intendeva realizzare, la ricerca — e la proposta — di una «terza via» economica tra capitalismo e socialismo rivoluzionario, che ponesse l’accento sulla dignità del lavoro e il sempre maggiore protagonismo di chi partecipava alla produzione economica, ossia il movimento cooperativo.
Paul Doumergue, in tutto questo movimento, non è, a rigore, un personaggio di primissimo piano. Non lo è nel campo teologico (lo fu piuttosto suo fratello Émile), né in quello dell’attivismo sociale, né in quello economico, eppure ha fornito il suo contributo a tutti e tre gli ambiti indicati. Anzi, è riuscito a sopravanzare molti colleghi sul piano dell’attività concreta, rivestendo il ruolo di catalizzatore delle diverse forme di azione socio-politico-pastorale e della scelta degli strumenti, fra i quali la sperimentazione di un Service Social che rispondesse ai bisogni immediati delle persone in difficoltà e la formazione degli operatori che lo potevano implementare.
Doumergue e la formazione dei pastori protestanti in Francia
Henri-Pierre-Paul Doumergue era nato a Nîmes il 10 agosto 1859, ma la famiglia, in realtà, risiedeva a Uzès, una cittadina con un importante passato storico, distante meno di trenta chilometri dal capoluogo del Gard. In questa regione i cittadini che professavano la fede protestante erano una minoranza consistente e vivevano nel ricordo delle lotte per la libertà religiosa sostenute dai loro antenati, riparatisi tra le montagne delle Cevennes, che per anni tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento erano riusciti a tenere in scacco le numerose truppe inviate dal re di Francia per sottometterli.
Il padre Jean-Louis era pure pastore, così come lo era il fratello maggiore Émile (1844-1937), teologo e docente al seminario di Montauban, in Linguadoca, per i pastori protestanti francesi. Il giovane Paul, dopo avere frequentato la scuola primaria a Uzés e il liceo a Nîmes, e a Parigi presso il prestigioso Louis-le-Grand, si trasferì a Montauban per gli studi teologici.
In questo centro, all’epoca unica sede di formazione riconosciuta in Francia per la formazione dei pastori che si rifacevano all’insegnamento di Calvino, erano previsti cinque anni di studi al termine dei quali gli allievi con almeno 25 anni di età, e che avevano dato prove soddisfacenti di capacità religiose e morali, erano autorizzati a presentarsi all’esame che permetteva di ottenere il grado di «baccelliere in teologia» indispensabile per essere nominati pastori. Questo esame, che verteva sulle diverse branche della teologia e sulla capacità di preparare e recitare un sermone, terminava con la discussione di una tesi. Anche Paul Doumergue seguì questa procedura e nel 1884 sostenne la tesi
di baccellierato in teologia discutendo sul tema: «la filosofia cristiana in San Paolo».
La qualità della formazione di Montauban non era eccezionale e così gli allievi migliori venivano inviati a completare i loro studi all’estero. Anche Paul Doumergue si recò prima a Halle, nella patria di Lutero, e poi a Edimburgo, in Scozia; in questi centri subì l’influenza dei teologi più in vista e in modo particolare di Tommy Fallot (1844-1904), pioniere del cristianesimo sociale, sul quale più avanti scriverà anche un saggio rimasto inedito.
Nel 1886 Paul Doumergue si sposò con Isabelle Castelnau (1860-1920), appartenente a una famiglia in vista della borghesia protestante della regione e dalla quale avrà una figlia e due figli maschi. Poco dopo verrà nominato pastore a Valence nella regione del Rodano dove rimarrà una decina d’anni.
Nel 1897, si trasferì a St-Germain-en-Laye (Regione parigina) per la cura pastorale dei protestanti disseminati a Pontoise e dintorni, in qualità di missionario della «Società centrale di evangelizzazione». Questo era un organismo della chiesa protestante francese che, più che convertire i cattolici, si preoccupava di proporre un’intensa azione negli ambienti nei quali il Vangelo era sconosciuto: superstiziosi, atei, liberi pensatori, indifferenti. Oltre a dedicarsi alla cura delle anime svolse anche il ruolo di aumônier presso un liceo parigino. In questo nuovo clima, infatti, anche i pastori protestanti potevano prestare la loro assistenza spirituale presso scuole, caserme e ospedali, analogamente a quanto già avveniva per i ministri del culto cattolico.
L’incontro con il Cristianesimo sociale
Il Cristianesimo sociale, fondato sull’umanesimo cristiano (l’uomo è fatto a immagine di Dio e quindi ha diritto a un’alta dignità), in opposizione al liberalismo economico dell’epoca e alle conseguenze sociali drammatiche della rapida industrializzazione, fu un progetto allo stesso tempo utopistico e critico che puntava a trovare una soluzione cristiana ai grandi problemi sociali di quel tempo. Lo possiamo vedere incarnato nelle missioni dei quartieri urbani dove i pastori sociali come Fallot prima e Elie Gounelle in seguito cercano di contendere ai socialisti l’ideale della solidarietà. Solidarité, infatti, era il nome attribuito a quelle istituzioni ideate dai pastori che proponevano, a fianco del tempio, luoghi di incontro, interventi cooperativi e assistenziali per i lavoratori e le loro famiglie.
Nel 1887 i protestanti francesi e svizzeri di lingua francese diedero vita a un vasto programma di economia politica e di studio dei problemi sociali che si compendiò nella rivista mensile «Le Christianisme social», dove si riconosceva che, se si voleva avere qualche influenza sul popolo, non si poteva «fingere di ignorare le sue sofferenze o le sue rivendicazioni», non ci si poteva rivolgersi a lui solo «con esortazioni o preghiere», ma bisognava dare il proprio aiuto, il proprio tempo e le proprie conoscenze. «Non limitiamoci a promettere ai diseredati il cielo nel futuro ma operiamo per farglielo intravvedere nel presente» (Gounelle, 1937, p. 10).
Questo movimento che si sviluppava parallelamente a quello del Cattolicesimo sociale propugnato nella Rerum Novarum ne condivideva molti principi, anzi possiamo dire che mai come in questo periodo la Chiesa cattolica e quella protestante, almeno in Francia, avevano trovato tanti punti di affinità.
I protestanti francesi impegnati nel sociale traevano molta ispirazione anche dal «Vangelo sociale» (social gospel) statunitense, proposto dal filosofo e pastore battista Walter Rauschenbusch (1861-1918), la cui teologia si distaccava dalla tradizione dottrinale per insistere sulla paternità e misericordia di Dio e la democrazia sociale ed economica come forma di applicazione della fraternità evangelica (Bortoli, 2006). Una delle sue toccanti «preghiere sociali» concludeva ogni numero della rivista dei cristiani sociali francesi. L’influenza del social gospel, già presente in special modo nel movimento dei settlement statunitensi, si irradiava così anche sul lavoro sociale proposto dai protestanti francesi.
Paul Doumergue non fu l’unico aderente a questo movimento a distinguersi nel campo del lavoro sociale. A lui bisogna doverosamente aggiungere Charles Gide (1847-1932) e le elvetiche Hélène van Mülinen (1850-1924) e Emma Pieczynska Reichenbach (1854-1927).
Charles Gide, zio dello scrittore André, era pure originario di Uzés. La comunanza religiosa e la vicinanza fra le famiglie avevano permesso a Paul Doumergue di allacciare con lui un rapporto d’amicizia, e poi di stima e di collaborazione, fin dai primi anni di vita. Così li troviamo vicini in tutte le tappe di sviluppo del movimento protestante di quel tempo e, in modo particolare, di quelle più prettamente sociali. Gide sarà, di fatto, l’estensore del programma di studi dell’École pratique fondata da Paul Doumergue nel 1913 e il docente principale degli insegnamenti giuridici ed economici. In questa scuola proseguirà il suo insegnamento fin quasi alla vigilia della sua morte. La sua vicinanza ai temi del lavoro sociale, del resto, lo aveva accompagnato lungo tutta la vita accademica, presentando anche nei suoi corsi l’attività di Octavia Hill (1924) come esempio di quell’economia sociale e della solidarietà di cui era uno dei massimi teorici unitamente a Emile Durkheim. Le riviste «Foi et Vie» e «Le Christianisme social» furono un altro ambito nel quale queste personalità trovarono modo di collaborare.
Il protestantesimo sociale attivo anche in Svizzera si collegò strettamente al movimento di emancipazione femminile, contribuendo a dargli una visione più chiara del ruolo della donna tanto sul piano religioso quanto su quello civile e sociale. Il merito va soprattutto alle due donne summenzionate che, accomunate nell’ispirazione religiosa e nelle aspirazioni femministe e sociali, come nella vita di tutti i giorni, sono considerate all’origine del movimento femminista svizzero. Qui rivendicarono la parità dei diritti, l’elettorato passivo (a cominciare dalle commissioni scolastiche di assistenza), la revisione totale della legislazione sul tema, il riconoscimento della personalità civile e integrale della donne, della loro dignità, del loro poter essere responsabili, libere e forti. «Tuttavia il loro femminismo era mite, prudente, diremmo perfino opportunista, di ispirazione religiosa più che politica e tendente a sviluppare nelle donne il senso di responsabilità e di progresso spirituale più che quello delle rivendicazioni esteriori e rivoluzionarie» affermerà il leader del movimento del cristianesimo sociale Elie Gounelle (1930, p. 242), in un commosso ricordo di Emma Pieczynska, collaboratrice della rivista da lui diretta.
Sempre di questo periodo è la costituzione dell’Ècole de Nîmes, un nome attribuito in maniera ironica dai pensatori liberali al movimento (attivo soprattutto nel Sud della Francia e animato da esponenti appartenenti alla religione protestante), guidato da economisti come Charles Gide che cercavano una terza via tra capitalismo e socialismo. Il soprannome di questo movimento accettato e assunto con orgoglio dai suoi leader ha finito storicamente per identificare il movimento cooperativo francese di produzione e di consumo dove si poneva l’accento sulla solidarietà. Quest’ultima, diceva Charles Gide, non era un puro ideale come la libertà o l’uguaglianza, ma, al contrario, un fatto ben presente nella scienza e nella storia legato all’interdipendenza e che diventava sempre più evidente di giorno in giorno. Il progetto era quindi quello di un cooperativismo emancipativo, struttura di apprendimento della democrazia e dell’efficienza economica che avrebbe permesso di abolire il regime del profitto senza cadere nello statalismo.
«Foi et Vie»: un quindicinale religioso, morale, letterario e sociale
Nel periodo successivo al 1870, come detto, si assiste nel mondo protestante a una forte volontà di ripartire e di diffondere sempre più il Vangelo, ritenuto l’unico vero rimedio ai mali del Paese. L’azione, che si manifestava attraverso numerose iniziative in campo culturale, religioso, economico e sociale, è presente anche nelle iniziative avviate da Paul Doumergue, prima fra tutte, nel gennaio del 1898, la fondazione della rivista «Foi et Vie: quindicinale religioso, morale, letterario e sociale», come era indicato sotto al titolo. Guida di anime che non cercava di imporre la sua religione ma di favorire lo sviluppo civile, Doumergue affermava: «fondando questa rivista [ero partito] dalla costatazione che le riviste religiose fossero riviste ecclesiastiche e teologiche che escludevano il laicato, Foi et Vie cercava invece di avvicinare la fede alla vita stabilendo tra l’una e l’altra la circolazione della linfa per una più ampia fruttificazione al fine di portare questo Vangelo attualizzato ai laici assetati tanto di fede che di vita» (cit. in Encrevé, 1993b, p. 179). Effettivamente non furono pochi i protestanti a prestare «una curiosità sia pure venata di scetticismo» alla rivista curata da Paul Doumergue in qualità di redattore capo (Boegner, 1930, p. 459).
In un ricordo proposto venticinque anni più tardi lo stesso Doumergue affermava ancora: «si trattava di fare una rivista religiosa e allo stesso tempo laica […] bisogna trattare le questioni del giorno, di quell’ora, vive come si presentavano nei giornali, nelle università, nei salotti, sulla strada, bisognava che gli articoli fossero fatti da laici e, se erano degli uomini di chiesa, in uno spirito e forma laici. Volevamo tenere informati sulle”cose dell’anima”come fossero notizie di attualità» (ibidem, pp. 459-460).
Il pastore Doumergue non voleva tanto essere uomo di chiesa e, infatti, pur essendolo profondamente, manteneva una rubrica sulla sua rivista intitolata: «Méditation laique», ma pensare e vivere il Vangelo. Si preoccupava di portare i lettori della sua rivista (1200 abbonati nel 1902) alla riflessione personale sui grandi problemi che si ponevano allora in un contesto difficile (affaire Dreyfus, separazione della Chiesa dallo Stato, anticlericalismo diffuso). Faceva lo spoglio delle riviste culturali dell’epoca e informava sui contenuti e i dibattiti che avevano luogo all’École des Hautes Études Sociales. La realtà quotidiana, le attualità sociali lo interessavano particolarmente e alimentavano le rubriche che completavano la rivista. Se si volesse trovare una differenza tra lui e i suoi colleghi impegnati nello stesso ambito, occorrerebbe evidenziare il fatto che lui si rivolgeva maggiormente alle élite cittadine e non disprezzava nessuna forma di aiuto, compresa la beneficenza tradizionale, perché il suo obiettivo era quello di responsabilizzare la borghesia protestante sui propri doveri sociali.
Le conferenze e la seria difesa della vita spirituale
Nel 1901, sempre al servizio della Società centrale di evangelizzazione, Doumergue si recò a Montrouge, a sud di Parigi, dove nel 1904 fece costruire il tempio. Poco dopo, al fine di rispondere a una campagna in favore dell’ateismo che si svolgeva nel Quartiere latino di Parigi e per favorire la difesa delle basi della vita spirituale e religiosa, decise che non bastava la parola scritta e così iniziò a organizzare delle Conferenze di «Foi et Vie», in una sala in affitto presso Saint Germain des Prés, nel Quartiere latino, da sempre centro della cultura e del fermento politico. Riteneva, infatti, che il periodico non fosse un mezzo sufficiente per contrastare il movimento del libero pensiero dilagante all’epoca; sentiva risuonare ai suoi orecchi il rimprovero che Calvino aveva fatto ai silenziosi del suo tempo: «il cane perlomeno abbaia quando il suo padrone viene attaccato». Occorreva quindi lo strumento della parola per difendere non tanto la propria confessione quanto le basi stesse della vita spirituale e religiosa.
E per tenere dette conferenze, che considerava come dei veri seminari di studio, si rivolse a persone molto diverse tra di loro, come i filosofi Émile Boutroux e Henri Bergson, il fisico ma anche filosofo Henri Poincaré, il teologo svizzero Gaston Frommel o il teologo aperto alle religioni non cristiane Henri Bois. Questi universitari ai quali Doumergue chiese di uscire dalla Sorbona o dal Collège de France, per salire alla tribuna loro offerta allo scopo di «prendere le difese dell’anima, della vita spirituale, presa sul serio, molto sul serio» (Boegner, 1930, p. 460), risultavano più efficaci degli uomini di chiesa.
Verso il 1910 aggiunse alle conferenze pubbliche appena menzionate l’organizzazione di sedute di studio per alcuni piccoli gruppi su temi quali: la protezione dell’infanzia, l’alimentazione popolare, la lotta contro la prostituzione.
Era nella linea della rivista pensare per agire, non agire senza pensare. Ma Doumergue era giunto alla costatazione che, più le questioni erano pratiche e — come si dice — vitali, meno esercitavano attrazione sul grande pubblico. Il pubblico non sentiva l’esigenza di saperne di più. Inoltre gli uditori cambiavano a ogni conferenza, a seconda del titolo e del nome del conferenziere. Aveva la sensazione che fosse tempo perso («era come dare un colpo di spada nell’acqua», ibidem, p. 461). Capì allora che bisognava rivolgersi verso il gruppo delle buone volontà già impegnate nell’azione o preoccupate della realizzazione: vi erano, qui, bisogno, attesa, ricerca.
Una nuova scuola di Servizio sociale tra spiritualità e pratica
Nel 1911 Paul Doumergue aveva cessato l’esercizio di un ministero parrocchiale in senso proprio per dedicarsi all’attività di pubblicista, mediante la quale riteneva di poter dare un maggiore contributo all’integrazione del protestantesimo francese nel movimento intellettuale della sua epoca.
Bisognava fare una scuola per la pratica: occorreva «passare dagli uditori agli allievi» (Lanusse, 1995, p. 48). Così alla fine del maggio 1913 — in occasione di una di queste riunioni — Doumergue presentò una comunicazione dal titolo Fondation d’une école pratique de Service social, in cui precisava l’idea centrale e il piano degli studi.
Il progetto, elaborato con i consigli di Charles Guide, comportava soprattutto un’attività di formazione sul campo e dei corsi regolari: le lezioni, infatti, erano accompagnate
da visite obbligatorie «sui cantieri dell’azione». Da sottolineare l’idea di stage più o meno lunghi, perché gli studenti di questa nuova Scuola si impegnassero nelle istituzioni meglio organizzate, secondo le loro attitudini, al fine di completare la loro formazione al servizio sociale. L’idea era «semplice, precisa e pratica»: da novembre a maggio erano previsti un corso e una visita ogni settimana. Il ciclo di studi era progettato su due anni. Il primo anno avrebbe avuto al suo centro la sofferenza (prevenzione, assistenza), mentre durante il secondo anno ci si sarebbe concentrati su lavoro, tempo libero e istruzione.
Nel numero di luglio 1913 di «Foi etVie», Paul Doumergue affermò: «noi vogliamo formare degli operai del servizio sociale. Di lavoratori nelle nostre istituzioni ce ne sono molti ma le buone volontà non bastano più; occorrono competenze, occorrono conoscenze precise, il senso dei problemi sociali che si ha la pretesa di risolvere» (Une fondation nouvelle de «Foi et Vie», 1913, p. 413). Paul Doumergue fondò perciò una scuola pratica di servizio sociale. Questo aggettivo lo troveremo frequentemente anche nei decenni successivi per indicare l’avversione per i soli contributi teorici alla formazione degli operatori sociali.
Partendo dal riscontro che vi erano delle buone volontà impegnate nel servizio sociale quasi per caso, perché ne avevano sentito parlare in un salotto o in chiesa, e che queste buone volontà si svalutavano e si perdevano per mancanza di conoscenze, Doumergue voleva formare degli ouvriers del servizio sociale, giocando un po’ sulla parola assonante con le oeuvres (istituzioni di assistenza) ma che richiamava anche direttamente l’azione pratica che si doveva esercitare:
Fondiamo una scuola per quelli che vogliono agire, fare il loro servizio sociale. Cominceranno con l’imparare e con il sapere come si fa il proprio servizio. In un tempo in cui la solidarietà dell’individuo e della società, di ciascuno e di tutti, è divenuta un fatto che fa scalpore; un tempo in cui non si sente parlare che di dovere sociale e di debito sociale; in un tempo in cui la scienza serve alla società, con tanta indifferenza, tanto per fare il bene che per fare il male; un tempo in cui il male ne approfitta in maniera impressionante; un tempo in cui, in particolare, i cristiani prendono coscienza della loro missione che è quella di fondare il regno di Dio sulla terra, chi di noi non vorrebbe formarsi per il servizio sociale? Chi non vorrebbe imparare dove sono i problemi, dove sono i mali, dove può essere l’azione efficace, la buona azione, come essere d’aiuto nel mondo dei bisogni di oggi? Per costoro noi fondiamo una scuola pratica di servizio sociale. (Ibidem, pp. 414-415)
Due erano le caratteristiche principali che dovevano prevalere nel lavoro sociale, decisamente posto al di fuori dai partiti politici e delle congregazioni religiose: una preoccupazione di imparzialità, al fine di rispettare colui che è aiutato avvicinandolo senza secondi fini, e una preoccupazione di conoscenza, generale e pratica.
Si può quindi dire che due erano le idee che presiedevano alla fondazione della scuola: una di ordine religioso («l’essenza del cristianesimo sta tutta intera nella parola
servire, servire Dio nell’uomo», Doumergue, 1930a, p. 216); l’altra di ordine operativo: il servizio sociale necessita di competenza, formazione, preparazione all’azione.
Doumergue osservava, non senza un certo umorismo: «Le buone opere hanno senza dubbio un’influenza molto benefica su coloro che le praticano, ma quale influenza
esercitano su coloro che ne sono l’oggetto?» (Lanusse, 1995, p. 49).
Un’iniziativa dopo l’altra: la linfa fa spuntare sempre nuovi rami
Così, alla sua attività di ricerca intellettuale (rivista e conferenze) il pastore Doumergue aggiunse l’azione sociale, in cui cultura spirituale e servizio sociale si sostenevano a vicenda.
Fin dall’origine Paul Doumergue aveva pensato che due anni di formazione non erano troppi per acquisire una formazione sufficiente. Poi, per tenere conto di alcune critiche e sull’esempio di altre istituzioni create in quel periodo, compresse l’insegnamento teorico in un solo anno. Ma non appena qualcuna delle scuole propose la formazione biennale, egli si affrettò a imitarla, spingendo anche gli allievi più giovani a fare un anno zero di preparazione. Contemporaneamente inaugurava «l’aggiornamento» proponendo alle assistenti già formate dei corsi integrativi che trattavano l’uno o l’altro dei problemi sociali particolarmente importanti.
Dapprima installata in place deVosges, la scuola ebbe altre tre sedi prima di trasferirsi nel 1925 al 139 di boulevard Montparnasse, in un immobile che Paul Doumergue era riuscito a far acquistare. Da questa scuola usciranno diplomate importanti figure del servizio sociale internazionale come Marie-Thérèse Vieillot, in seguito fondatrice del servizio di messa alla prova in Francia, insieme a Chloe Owings (Bortoli, 2010, p.241), Madeleine Delbrel (Bortoli, 2007, p. 208) e Odile Vallin (1914-2008), fondatrice nell’inverno del 1944 della «scuola pratica per assistenti sociali» di Milano e, qualche anno dopo, insieme a mons. de Menasce, della Scuola FIRAS di Roma.
Sfortunatamente, la scuola fu costretta a interrompere la sua attività dallo scoppio della guerra. La brevissima attività di formazione prestata venne immediatamente investita nell’Office de service social. Questa realtà rappresentò la terza iniziativa di Paul Doumergue volta a sperimentare l’azione dell’assistente sociale come punto di riferimento unitario per tutte le forme di bisogno sociale e sanitario e come coordinatore delle risorse messe a disposizione dall’assistenza pubblica e dalla filantropia privata. Durante
e subito dopo la guerra l’Office de service social si trovò a dispiegare una grande attività di soccorso a bisogni essenziali manifestati dalle famiglie dei mobilitati e ai rifugiati.
Nel corso degli anni Venti Le Service Social proseguì come iniziativa a sé stante, gestita dalle assistenti sociali diplomate dall’École pratique, come un Centro di servizio sociale promosso dalla Chiesa protestante nel quale avveniva il collegamento tra i bisogni e il soccorso: «il Servizio sociale non è tanto una questione di soldi, o meglio, non è assolutamente necessario che sia dalla propria cassa che il Servizio sociale vada ad attingere il denaro. Egli sa dove si trova: nelle leggi sociali, nelle casse dell’assistenza pubblica e privata» e ancora, prendendo a somiglianza la costruzione di una casa, «il suo scopo è quello di stabilire i piani della ricostituzione famigliare, del reinserimento sociale, e poi raccogliere tutte le risorse sparse nei cantieri dell’assistenza sociale, e infine disporsi all’edificazione, facendo attenzione alle fondamenta, al cemento dei muri, in proporzione sufficiente di scienza e di amore» (Doumergue, 1930a, p. 219).
Durante il periodo bellico Paul Doumergue assicurò ugualmente la pubblicazione di un «Journal du soldat», che uno dei ministri della guerra avrebbe voluto far diventare il giornale ufficiale dell’esercito. Doumergue era membro del Comitato degli amici francesi all’estero e di quello degli Amici del pensiero protestante, sodalizi avviati per iniziativa dello stesso Doumergue, che rispondeva così a chi gli rimproverava di dare vita incessantemente a nuove iniziative: «Perché aggiungere continuamente nuovi rami? Quando un albero cresce sotto la spinta della linfa, cerca il contatto sempre più ampio dell’aria e del sole: la corteccia sia apre e spunta un nuovo ramo».
L’anno prima di morire Doumergue espose l’essenziale della sua personalità e del suo pensiero aperto in un libro intitolato Servir, la parola che amava di più perché ritenuta il collegamento tra il vangelo e la vita. Nell’attività assistenziale «è la società che sta dando compimento alla legge di Cristo: “sono venuto non per essere servito, ma per servire”. Soltanto che qui si tratta di un servizio laico nel quale la società si impegna non sotto le insegne di Dio e di Cristo, ma di non so quale nuova religione, la solidarietà, di non so quale nuovo culto, il progresso. È lo Stato che diventa agli occhi del popolo la Provvidenza» (ibidem, p. 216). Del resto «Je sers» (Io servo) era il nome della Società calvinista di Francia di cui Paul Doumergue, insieme agli amici e ai collaboratori, stava inaugurando il nuovo laboratorio di stampa quando la morte lo colse improvvisamente il 15 novembre 1930.
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Fonte: Edizioni Erickson – Trento lavoro sociale Vol. 12, n. 3, dicembre 2012 (pp. 419-427)