Paolo Cavagnoli

 

Analisi Videointervista a cura di Alessandro Monari

 

Parla Paolo Cavagnoli un assistente sociale di Trento. 

Il Signor Cavagnoli apre l’intervista raccontando come sia casualmente entrato a far parte del mondo dell’assistenza sociale. L’esperienza giovanile che il padre gli fece, a fin di bene, vivere all’interno di una colonia del trentino che accoglieva ragazzi di strada, lo ha avvicinato al grande e complicato mondo dell’assistenza. La passione sviluppata lavorando per la colonia porta Paolo ad intraprendere un vero e proprio percorso formativo fino ad ottenere il diploma di Assistente Sociale. Più tardi, grazie all’assunzione in Provincia, sviluppa competenze adatte al lavoro che, per lui, ha sempre rappresentato un’importante opportunità.

Il suo percorso lavorativo continua con il ruolo di assistente sociale di nave per accoglienza di migranti, incarico che corona il sogno in cui sperava da tempo. La tenacia di Paolo gli permette anche, dopo anni di lavoro, di continuare a studiare riuscendo ad ottenere una laurea in Psicologia all’università di Padova. Traduciamo dalle sue parole la soddisfazione di un uomo che ha potuto credere nelle proprie capacità mettendole a disposizione dei più bisognosi; anche per questo motivo Paolo viene nominato vicepresidente nazionale degli assistenti sociali. Questo importante ruolo gli ha permesso di promuovere la figura dell’assistente sociale contribuendo alla divulgazione di questa importante figura all’interno della comunità. 

I primi tempi furono duri perché la figura di assistente sociale non esisteva e con l’allora capo servizio, abbiamo creato, con battaglie sindacali notevoli, la figura e il riconoscimento del titolo.’ afferma Paolo.

 

Paolo prosegue l’intervista con un discorso riguardo l’evoluzione dell’assistenza sociale. Comprendiamo che i cambiamenti riguardo la sua professione hanno sempre seguito la dinamicità della società in cui si stava sviluppando e per questo la sua affermazione sul campo, anche se lenta, è stata fondamentale. 

Nell’immediato dopoguerra degli anni ’50, ci spiega Paolo, esisteva solamente un ente comunale di assistenza che sussidiava le famiglie con interventi economici.

Successivamente gli assistenti sociali aumentavano di numero e la loro professionalizzazione li portava a voler ottenere un riconoscimento istituzionale che arrivò anni più tardi. L’evoluzione ed il cambiamento della professione hanno permesso di mettere a fuoco il vero e proprio obiettivo dell’assistente sociale: promuovere la sensibilizzazione e fornire assistenza in quanto diritto dell’individuo. 

Un’importante riflessione dell’intervistato riguardo le conseguenze di questi repentini ed innovativi cambiamenti cade sull’eccessivo tecnicismo che caratterizza oggi il mondo dell’assistenza sociale. Paolo, elogiando le capacità delle figure che affiancano l’assistente sociale oggi, ne evidenzia allo stesso tempo la prassi di elevata complessità che può soffocare le esigenze dell’assistito finendo per peggiorare la sua condizione sociale. 

Il tema che dovrebbe stare a cuore all’assistente sociale, afferma, deve e dovrà sempre essere l’empatia. Il rapporto con l’assistito deve essere un legame fraterno e sincero, di comprensione reciproca e collaborazione che sfocerà in una crescita personale dell’individuo e nel reinserimento all’interno della società che molto spesso lo emargina. 

Si, rende il tecnico un servizio che non è tecnico. Chi lavora nel nostro settore deve avere l’umiltà la capacità di adattarsi a parlare coi bambini con i ragazzi con gli adolescenti coi tossici con gli ammalati di mente con gli handicappati al loro livello.’  sostiene il Signor Cavagnoli.

 

Il discorso del Signor Cavagnoli prosegue con una considerazione riguardo l’associazionismo, i gruppi di associazione cattolica e non di cui oggi sente la mancanza. 

Percepiamo nelle sue parole indignazione e scontentezza riguardo all’indebolimento del legame tra i giovani d’oggi e l’associazionismo, sostituito dal divagare della tecnologia. 

I gruppi scout e le associazioni di ragazzi che agli albori del suo percorso formativo e professionale erano largamente diffusi, dice Paolo, oggi non esistono più e questo riduce i modelli di riferimento per i ragazzi d’oggi che rischiano di perdere le capacità di dialogo e di confronto, aumentando il disagio sociale. 

A questo proposito, durante l’incarico di vicepresidente, con l’aiuto delle istituzioni riesce a creare l’Associazione Provinciale per i Minori anche detta APPM. Quest’ultima è una delle associazioni che ancora oggi, nonostante l’irrefrenabile cambiamento della società, assiste i giovani in difficoltà attraverso gruppi famiglia e centri diurni così da trasmettere il valore dell’associazione tra pari dando importanza al senso di famiglia senza sostituirsi ad essa. L’esperienza di Paolo all’interno dell’assistenza sociale gli permette di definire il ruolo fondamentale che l’assistenzialismo e l’associazionismo dovrebbero avere: recuperare il concetto di famiglia e aiuto tra pari. 

L’intervistato racconta poi la sua esperienza nel reparto di psichiatria.

Le espressioni facciali che accompagnano le sue parole denotano emozioni contrastanti riguardo questo breve periodo professionale in un ambiente difficile con cui confrontarsi. 

La realtà dell’ospedale psichiatrico è pesante e permette di capire a chi la frequenta che la sofferenza mentale esiste, è invasiva ed invalidante. Abituarsi a convivere con la realtà di un reparto psichiatrico, ci fa capire Paolo, è difficile e necessita di forza di volontà e stabilità personale. Il suo racconto sottolinea quanto sia cambiato il trattamento dei malati mentali durante gli ultimi anni e come sia più semplice tenere sotto controllo una situazione di sofferenza attraverso l’utilizzo degli psicofarmaci. 

Capiamo che per il Signor Cavagnoli sostenere i reparti di psichiatria ed il percorso riabilitativo possibile al suo interno può aiutare gli individui più fragili a ritrovare la propria stabilità e non solo; anche fronteggiare patologie altamente invalidanti dovute all’avanzare dell’età come l’Alzheimer. L’integrazione della psichiatria con l’aspetto socio sanitario dell’assistenza, afferma Paolo, potrebbe essere una grande soluzione per le criticità causate dall’aumento dei tecnicismi in ambito psicologico e medico che intralciano l’assistenza di cui l’individuo necessita. 

 

Il rapporto tra politica e assistenza sociale

Paolo sostiene che l’assistente sociale dovrebbe essere considerato un vero e proprio politico ‘con la P maiuscola’, perché egli opera a favore della comunità e ha un ruolo concreto di grandissima importanza per la stabilità dell’ordine sociale. 

Le grandi modifiche legislative, l’organizzazione dell’assistenza sociale a livello politico, il rapporto con gli enti istituzionali e la sua diffusione sul territorio ha incrementato l’importanza della professione facendola diventare fondamentale per la comunità della Provincia Autonoma trentina e per tutto il resto d’Italia. 

L’intervista si conclude con un messaggio molto importante che nasce dalla dedizione per una professione magnanima e altruista in cui l’intervistato crede da tutta la vita: 

‘Mi sento di raccomandare agli assistenti sociali e a tutti gli operatori che la tecnica va bene, ma l’umanizzazione deve essere primaria. Non è possibile trattare le persone che hanno problemi, come facevano i vecchi baroni ospedalieri, no! Il rapporto umano è alla base di qualsiasi rapporto educativo e correttivo e di aiuto alla persona che è come te.’ conclude Paolo. 

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