Analisi Videointervista a cura di Benedetta Gelosini (01.03.2019)
Questa è la storia di una mamma che confessa di essersi sentita poco presente con i suoi figli. Questa è la storia di una moglie che ha cambiato la sua città di nascita, Milano, per seguire il suo sposo in Trentino.
Questa è la storia di un’insegnante consapevole che, tramite la passione per il suo lavoro, lascerà per sempre impressa una parte di sé nei suoi allievi.
Questa è la storia di una politica e di una cittadina che ha sempre messo al primo piano i bisogni di chi aveva necessità di trovare supporto.
Questa è la storia di Paola Vicini Conci che racchiude in sé tutti questi ruoli, che racchiude in sé un’inequivocabile forza di volontà e di amore per il prossimo.
“Mi chiamo Paola Vicini, sposata Conci, sono venuta qui in Trentino nel 1971. Ero già sposata, con dei figli. Sono milanese d’origine ho vissuto nella città di Milano fino al 1973. […] Il mio percorso scolastico formativo è iniziato al liceo classico Berchet di Milano, poi ho continuato con l’Università. Qui s’è posto il primo problema, il mio primo interrogativo importante, avevo due passioni: da una parte il giornalismo e dall’altra la medicina; ho scelto però di intraprendere la strada del giornalismo quindi mi sono iscritta a Lettere”.
E così la nostra intervistata si presenta: ci racconta di un’infanzia felice in una famiglia di 7 fratelli; la sua è una famiglia molto religiosa, le attenzioni e la sensibilità per il prossimo le sono state date in eredità dal padre: “si dedicava molto all’attività di volontariato di assistenza ai poveri e quindi ha trasmesso a tutti noi questa sua passione per l’umanità, per l’umano, soprattutto più desolato, più umile, più bisognoso”. Sempre grazie al padre Paola ci racconta di essersi interessata alla politica, cercando sempre di mescolare i valori di umanità e di assistenza con le ideologie politiche di cui era sostenitrice:
“Non ero entrata in politica per fare vita politica attiva, l’avevo fatto più come volontariato visto la mia precedente azione di volontariato fin da giovane: quando ero a Milano andavo nelle Cascine la Domenica ad aiutare i ragazzini a studiare perché non avevano soldi per farsi aiutare da maestri privati. […] Tra le tante cose fatte mi sono occupata dei comitati per la libertà di educazione. […] Allora si concepiva da una parte la scuola pubblica come la scuola di tutti e la scuola privata come la scuola dei ricchi; mentre doveva solo essere una questione di scelta educativa, di scegliere a chi affidare i propri figli nel periodo scolastico. […] anche l’assessore all’istruzione si mise in questa traiettoria e proponemmo una legge che passò; una legge che poi fu copiata nel resto d’Italia e che apriva sia la scuola privata che la scuola pubblica alla libera scelta della famiglia.”
Si susseguirono vari interventi a cura di Paola nel contesto della situazione politica e sociale Trentina. Nel suo discorso la nostra intervistata ci racconta quanto il cambiamento imminente si sentisse in modo profondo, a partire dal desiderio di sentire una presenza femminile nelle squadre dei partiti. Si riconosceva una diversa sensibilità nei confronti delle problematiche: uomini e donne uniti insieme avrebbero creato uno sguardo completo e quanto più adeguato per arrivare al cambiamento che tutti attendevano.
“Feci l’assessore alla cultura e fu il momento in cui riuscii a portare a casa il Mart di Rovereto. Rovereto aveva un senso profondo. Rovereto era ritenuta dai trentini la città della Cultura e quindi perché non crearvi una azienda culturale? Ed ecco il Mart.”
Paola Vicini Conci ci racconta dei traguardi ma anche delle oggettive difficoltà del momento, difficoltà che in un modo o nell’altro andavano affrontate: vi era il problema dell’emigrazione, dell’invecchiamento della popolazione, del calo delle nascite. Il lavoro inoltre vedeva un calo in diversi settori. Era necessario intervenire con una serie di leggi ma anche mantenere gli impegni presi in vista di una effettiva svolta. Per raggiungere tutti questi obiettivi quindi erano necessarie qualità consistenti: capacità di ascolto, capacità di coordinamento dei gruppi, di leadership. Servivano persone intraprendenti, convinte e positive nel raggiungimento di specifici obiettivi. “Mi pongo sempre come scopo quello di raggiungere un risultato: il lavoro ha un senso, il tempo che investiamo nell’obiettivo ha un significato”.
Paola queste qualità sembrava rispecchiarle tutte in pieno.
Attraverso queste caratteristiche e alla sua determinazione Paola ha dato una svolta ad uno dei temi più problematici del momento: la visione della vecchiaia. Il messaggio fondamentale è che l’età anziana non è “l’età della non vita”; le persone anziane hanno imparato a vivere, hanno compiuto sacrifici, a loro volta si sono occupati dei loro figli, dei loro genitori; le persone anziane hanno diritto di essere aiutate ma soprattutto hanno ancora diritto di essere loro stesse di aiuto.
“Dalle parti di Rovereto, c’era una casa dove coesistevano famiglie giovani e persone anziane; era stato creato un circolo virtuoso. Gli anziani erano diventati i nonni dei bambini delle famiglie giovani e davano loro una mano quando avevano bisogno di un momento di supporto per i loro bambini e per loro stessi; i giovani invece aiutavano gli anziani quando era necessario andare a fare la spesa o quando avevano bisogno di sostegno sanitario e di cure”.
Le sue accortezze, le sue idee di sostegno e cura, ma soprattutto la sua tendenza di vivere i bisogni altrui come se fossero i propri hanno portato Paola e la sua famiglia a tradurre le volontà in concretezza. Così ci parla di un’altra iniziativa che l’ha coinvolta in prima persona, un’idea nata dalla sua personale e splendida esperienza di vita:
“L’associazione dei genitori adottivi è sorta per caso dall’esperienza che noi abbiamo fatto di adottare due figli. Un anno siamo andati in vacanza con dei nostri amici al mare questi avevano due figli già grandi, in età adolescenziale; erano due ragazzine gioiose guizzavano nell’acqua come pesciolini. Forse è stato quell’episodio a farci dire “perché no?” […]. È stata una scelta che c’è scaturita di botto e che ci ha fatto dire “perché invece di fare noi un altro figlio non cerchiamo di dare una mano a chi già c’è e vive in una situazione di disagio e di povertà?” Adesso noi abbiamo un figlio che viene dall’India e l’altra che viene dallo Sri Lanka. Sono due ragazzi che vivevano in situazioni di povertà, di ammucchiamento, con una suora che li assisteva con generosità, con affetto, ma in situazioni tristi. Non era possibile vedere un futuro per loro”.
Da questa esperienza è scaturita l’idea di creare un’associazione per aiutare i figli adottivi. Contrariamente da ciò che ci si può aspettare, risultavano essere tante le forme di difficoltà psicologica derivanti dalla scoperta dei ragazzi o degli adulti di essere stati adottati. Paola ci spiega che spesso i ragazzi o i bambini adottati scoprono la loro storia da terze parti come ad esempio sconosciuti o amichetti di scuola; talvolta vengono toccati questi argomenti in modi poco consoni e rispettosi dei sentimenti di queste persone, è proprio questa mancanza di accortezze che può provocare da lì in avanti deficit cognitivi o danni psicologici gravi.
“Io credo sia stato davvero un modo per aiutare le famiglie che avevano adottato dei figli e dirò di più è stato anche un aiuto per chi ha saputo da grande di essere figlio adottivo; questa è una botta che ti fa vacillare un po’ la vita. È una botta sapere una cosa così da adulti avendo già dei figli a propria volta. Un giorno è stato bello perché, andando ad uno dei convegni, i figli dei nostri amici hanno chiesto alla loro mamma: “ Mamma ma perché andiamo a questo convegno? Noi siamo stati adottati?” Perché non riuscivano a capire come mai venissero ad un convegno che parlava di adozioni e la loro mamma per la prima volta ha detto: ”No, sono io che sono stata adottata, non voi”.