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Odile Vallin

Odile Vallin (Le Havre Francia 19/12/1914 – Melzo Milano 09/01/2008)

 

Odile Vallin nasce in Francia a Le Havre il 19 dicembre 1914, la sua infanzia è stata dolorosa e difficile segnata dalla morte della madre, avvenuta in tenera età e per tale ragione viene affidata agli zii.

Si laurea in Filosofia alla Sorbona e successivamente si diploma come assistente sociale a Parigi, presso l’Ecole Pratique du Service Social, scuola ad indirizzo protestante.

Trasferitasi in Italia nel 1943 non solo fondò e diresse la scuola di servizio sociale di Milano, ma ispirò la nascita di diverse scuole di servizio sociale sul territorio nazionale.

“Odile Vallin vede il ruolo dell’assistente sociale nell’Italia del dopoguerra con una chiara connotazione antifascista, democratica, moderna”. Odile Vallin riprodusse l’impostazione formativa appresa nel contesto francese (riscontrabile anche in Belgio ed in Olanda), attribuendo notevole valore didattico, accanto alla formazione teorica, anche alle “visite”, al “monitorato”, ai “lavori pratici” e ponendo moltissima cura ai tirocini. Nella Scuola Pratica di Servizio Sociale di Milano, infatti in tirocinio veniva considerato la parte più importante della formazione professionale, occasione di maturazione nel contratto con il contesto sociale e di confronto tra formazioni teorica e prassi assistenziale”.

Odile Vallin conosceva molto bene i modelli di servizio sociale presenti in quegli anni in Europa e durante la sua relazione, “Problemi della formazione tecnica delle assistenti sociali dell’organizzazione delle scuole di servizio sociale” al Convegno di Tremezzo, presentò la sua idea dell’impostazione delle scuole in Italia che avrebbe dovuto essere di tipo prevalentemente sociale.

Definì, inoltre, la figura dell’assistente sociale: “L’assistente sociale non è una missionaria, ma una professionista che lavora per migliorare una società in crisi e per aiutare degli individui in difficoltà a diventare dipendenti”. In base a tale valenza professionale, l’operatore sociale si propone come “tramite tra le persone che hanno bisogno di aiuto e le risorse sociali, tra l’individuo e la società (..) La morale professionale deve rendere profondamente consapevole la fattura assistente sociale della sua responsabilità, del rispetto che deve nutrire per la gente per la quale lavora e della sua indipendenza morale”.

Dopo il convegno di Tremezzo Odile Vallin fu chiamata a Trento, a Venezia, a Genova e Firenze per portare il contributo della sua esperienza, dando così inizio a nuove scuole.

Nel 1950 lasciò la direzione della scuola di Milano ad Alba canali per impegnarsi nella fondazione e direzione della Scuola per Religiose di Roma.

Nel 1960 viene insignata del “Premio Isimbardi”. Giornata della Riconoscenza” con la seguente motivazione “Al servizio di una ideale al quale ha consacrato la vita, contribuì in modo determinante – con assidua tenacia e dedizione incomparabili – al sorgere in Milano ed in molte città italiane di scuole pratiche di servizio sociale. Cooperò ad iniziative che caratterizzano l’azione dell’Amministrazione nei confronti della comunità provinciale, nel clima di una rinnovazione concezione democratica dell’assistenza sociale”.

Muore a Milano nel dicembre del 2007.

 

Fonte: Il racconto del servizio sociale : memorie , narrazioni , figure dagli anni cinquanta ad oggi / Maria Cacioppo e Mara Tognetti Bordogna, Milano, Angeli 2008, p. 59/61

 

ODILE VALLIN: RICORDO di Milena Cortigiani

Al mio arrivo a Roma, chiamata alla sede centrale dell’EGSS (Ente Gestione Servizio Sociale Case per Lavoratori), dopo circa cinque anni di lavoro nei centri sociali dei quartieri INA Casa mi venne presentata, da Carmen Pagani, Odile Vallin assunta dall’Ente con funzioni di supervisore centrale (che poteva essere inteso nei confronti degli assistenti sociali operanti nelle regioni affidate o dei supervisori locali dove erano già stati nominati). Fu subito chiaro che Odile sapeva della mia nomina allo stesso incarico di cui sopra. Stringendomi la mano mi disse: “sei molto giovane per l’incarico e soprattutto per le responsabilità che dovrai assumere”. Era il mese di dicembre del 1957. Non ricordo nessun tipo di reazione da parte mia; non conoscevo Vallin e sapevo poco di lei, ma ciò che sapevo era sufficiente per non osare una qualsiasi risposta. Inizio con questo episodio che può sembrare insignificante, ma con il passare del tempo le poche parole dettemi mi parvero un suo biglietto da visita molto aderente alla sua personalità. Schiva ed essenziale dava l’impressione di essere fredda e distaccata (molti la definivano gelida), mentre non Io era affatto se si stabiliva con lei un rapporto essenziale. La sua figura di donna nordica dallo sguardo particolarmente penetrante rivelava una grossa consapevolezza di sé che la portava ad impegnarsi a comprendere gli altri; certo non era abituata ad indulgere ma a comprendere sì, oltre che a spronare e pretendere. Non era certo facile lavorare con lei anche perché sapeva ben più di noi in campo professionale e questo suo sapere era fondato su una cultura civile e sociale che noi iniziavamo appena ad approcciare. Aveva della professione d eli’ assistente sociale un alto concetto per il contributo che poteva dare alla promozione ed allo sviluppo della persona anche sul piano civile e sociale. La sua rigidità spesso era conseguente a comportamenti professionali non finalizzati ad assumere caratteristiche che considerava essenziali per essere un motore di tale sviluppo, seppur nei limiti del contenuto e dello spazio offertoci come operatori sociali. Portava valori etici cristiani ma anche un’etica laica profonda. Dico ciò perché ebbi il peso e l’onore di vivere con lei un rapporto professionale ravvicinato. Fu il mio supervisore per diversi anni, con cadenza quindicinale, mentre svolgevo le mie funzioni di supervisore centrale in quattro regioni del Sud (Campania, Puglia, Basilicata e Calabria). Ricordo il suo rigore nell’esercizio di queste funzioni nei miei confronti: rispetto dei tempi e della documentazione; quest’ultima ritenuta essenziale non solo per l’oggettività del contenuto (lavoro svolto), per la conoscenza della realtà e del personale da me supervisionato, ma anche perchè il nostro rapporto professionale doveva avere tutti gli elementi per essere valido come modello da ripercorrere nelle varietà delle situazioni ambientali e di lavoro. Non fu mai, di fatto, un rapporto “paritario”, ma funzionale agli scopi da perseguire. Mi resi conto che non ostacolava mai l’elaborazione personale del pensiero professionale ma lo guidava, quindi imparai ad essere duttile e nello stesso tempo ferma. Dava alla supervisione un grande valore educativo e formativo sul piano professionale, nello stesso tempo riteneva questo aspetto una parte del più generale intervento tecnico ed amministrativo a garanzia delle responsabilità istituzionali. Questo tratto della sua personalità professionale ha permeato non solo atteggiamenti e comportamenti personali altrui ma anche la prassi istituzionale. In altre parole Vallin è stata un modello etico influente sull’amministrazione del servizio, specie attraverso il contributo dato alla formazione ed all’aggiornamento di tutto il personale tecnico. Anni dopo la chiusura dell’Ente, incontrandola più volte a casa sua, l’ho vista distaccata e assente dalla professione in Italia; mi è venuto di riflettere che Vallin abbia impersonato un tempo della professione, quello in cui gli ideali erano un valore più condiviso e che poi si sia allontanata da una nuova realtà che stava emergendo.

 

Fonte: Rivista di servizio sociale, a. 48, n. 1 (gen. 2008), p. 77-78

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