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Mariagrazia Cioffi Bassi

 

Analisi Videointervista a cura di Benedetta Gelosini (07.02.2019)

 

Chiedevamo solamente una vita dignitosa per i nostri figli…

 

Mariagrazia Cioffi Bassi inizia la sua attività come Presidente di ANNFAS Trentino con questo  desiderio; un desiderio che cela al suo interno una grande speranza: poter vedere i propri figli  esattamente al pari di tutti gli altri, nel lavoro, nell’individualità e nella libertà di poter essere e  diventare ciò che desiderano.  

Ed è con questo desiderio negli occhi e nel cuore che Mariagrazia Cioffi Bassi, una signora tenera,  distinta ma allo stesso tempo tenace e forte, comincia a raccontarci il suo contributo in ANNFAS.  ANNFAS è l’acronimo di Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli e Adulti Subnormali, fondata  nel 1965 dalla dottoressa Francesca Kirchner “che si era trovata con altri genitori e con ragazzi  portatori di disabilità che non avevano risposte e non potevano frequentare le scuole…”, ci  racconta Mariagrazia. La dottoressa si prometteva di estrarre dalle loro case questi ragazzi per  inserirli nel mondo, dando loro una speranza di vita e dando ai loro genitori la tranquillità e la  sicurezza di sapere i loro figli in un ambiente protetto. E così è partito il primo centro con pochi  ragazzi e con nessun contributo, un centro che tuttavia aveva in potenza un grande cambiamento  per la società e per le menti negli anni a venire.  

ANNFAS, come associazione che si occupa di persone deboli, si avvale di figure professionali che  collaborano in modo efficiente ed esperto: educatori professionali, psicologi, assistenti sociali ai  quali le famiglie ricorrono per richiedere aiuto.  

Il grande bisogno a cui ANNFAS rispondeva all’inizio era quello delle donne; erano madri che non  potevano continuare le loro vite di lavoratrici dal momento che avevano un figlio disabile e che, in  quanto tale, aveva necessità di attenzioni, di cure e di presenza più degli altri bambini. Ed è  proprio mentre Mariagrazia Cioffi Bassi racconta la fase iniziale della fondazione di ANFASS che  l’intervistatrice Elisabetta Boscardin le domanda il motivo per cui si è avvicinata a questa realtà.  

Beh il motivo è il medesimo di tutti gli altri genitori di ANNFAS: nel 1980 ho avuto un bambino  Down, mi sono collegata con altre famiglie, e l’allora direttore della neonatologia Pedrotti ci ha  messi in comunicazione con il dottor Cavagnoli, il dirigente delle politiche sociali della provincia.  E’ stato lui a finanziare per primo questo progetto”.

 

Mentre ci spiega quanto è stato importante per lei vedere il decollo di una così importante realtà,  non riesce a fare a meno di rivelarci quanto la soddisfazione di vederne il decollo sia stata  direttamente proporzionale alla fatica fatta per arrivarvi:  

Nel 1970 la dottoressa Kirchner, dato che l’associazione non era considerata, si è rivolta a Enrico  Pancheri, che allora era un politico molto importante, chiedendogli di prendere in mano lui  l’associazione. E a quel punto Pancheri accettò diventandone il presidente per 28 anni”.

 

Mariagrazia continua il suo racconto giungendo al suo avvento nell’organizzazione nel 1981, in  veste prima di consigliere e poi, dal 1998 al 2003, di presidente. Ci dice che ANNFAS come  associazione emergente ha incontrato numerose difficoltà, difficoltà che continua a riscontrare  anche ora: “Le difficoltà principali credo siano state quelle di far capire al mondo politico la  necessità di finanziare queste associazioni”. La presidentessa, mentre ci spiega in modo molto  chiaro e diretto i principali ostacoli dell’affermarsi dell’organizzazione, cita le parole di Françoise 

Segan, scrittrice francese della seconda metà del ‘900: “il dolore è uguale per tutti, tuttavia è  sempre meglio piangere su una Rolls-Royce che su un autobus affollato”.  

Questa citazione ci permette di comprendere in modo imponente e talvolta fastidioso il dolore  delle famiglie. Si tratta di famiglie oneste, umili, con principi ben radicati che si trovano prima a  vergognarsi di avere messo al mondo bambini invalidi e poi abbandonati ai loro problemi,  abbandonati alla gestione normalmente difficoltosa di questi figli, proprio come se questo fosse il  peccato da espiare.  

Questa visione dei bambini portatori di disabilità la troviamo anche nell’acronimo stesso di  ANNFAS:  

“ […] subnormali, venivano chiamati subnormali; poi sono stati chiamati handicappati, poi  persone con handicap ed infine persone portatrici di disabilità, che è molto diverso. I Down erano  chiamati mongoloidi, tuttavia il nome scientifico è Down, e noi li chiamiamo Down! Il primo centro  nato a Genova si chiamava: Centro Piccoli Mongoloidi, noi abbiamo detto NO. Noi lo chiamiamo  Centro Piccoli Down. Ed ecco, mano mano che la società accoglieva i nostri figli, si evolveva  anche il concetto stesso di disabilità”.

 

E’ stata questa una delle più grandi vittorie di ANNFAS secondo Mariagrazia:  “L’unione ha poi aiutato tanti genitori a superare queste paure, ad acquisire questo rispetto  umano nel dire: Mio figlio è disabile”.  

Racconta inoltre che ANNFAS ha creato un laboratorio sociale in particolare per quei ragazzi che  non avevano patologie così gravi e che quindi erano in grado di svolgere un lavoro soddisfacente.  Questi ragazzi sono persino riusciti ad avere soddisfazioni tangibili nell’apertura di un negozio  anche nel quartiere Le Albere.  

Mentre ci svela questi grandi e importanti traguardi, Mariagrazia è visibilmente commossa e  sempre più fiera di quello che un’associazione è stata in grado di fare per le vite di questi ragazzi.  Ciò che racconta con fierezza è inoltre la capacità dell’associazione di rimanere sempre al passo  con i tempi, era ed è tuttora importante che i giovani seguano i loro personali progetti di vita:  

Ogni persona ha diritto a un progetto di vita, anche i ragazzi con patologie più gravi. C’è chi fa  l’ippoterapia, la psicomotricità, a seconda dell’esigenza dei ragazzi, ognuno ha la sua vita con i  suoi impegni. Non vengono tenuti all’interno di ANNFAS soltanto per essere accuditi, vengono  soprattutto stimolati”.

 

A questo proposito è importante sottolineare come l’associazione non si sia occupata solamente  di ragazzi disabili in età adolescenziale o giovanile ma abbia provveduto a seguirli nel corso della  loro vita, dando così importanza ad ogni piccolo e grande traguardo:  

“ […] siamo riusciti ad aprire un centro per anziani perché ci siamo accorti che nei centri dove  c’erano i giovani, quelli che nel tempo erano divenuti uomini e donne, non si trovavano più bene.  Spesso rallentavano il ritmo degli altri e giustamente si stancavano più facilmente; da queste  dinamiche si creavano litigi, proprio come avviene nelle dinamiche delle persone normali.

 

Questo estremo rispetto per l’anziano, questa alta considerazione del tempo che passa e che  porta inevitabilmente il cambiamento nella persona, ha permesso una diminuita somministrazione  di tranquillanti ma soprattutto ha portato risultati eccezionali anche dal punto di vista cognitivo  riconosciuti a livello internazionale. 

Nella conclusione dell’intervista Mariagrazia Cioffi Bassi si sente in dovere di ricordare a noi lettori  e alle istituzioni che:  

I servizi alla persona non devono essere dati in gare d’appalto, la qualità del servizio non è  quantificabile, non la puoi misurare. Io credo che non si possano vanificare 60 anni di attività  dicendo: “Tu costi Troppo”. […] Le persone più fragili hanno bisogno di risposte e non di soldi,  sono piuttosto necessari servizi che siano efficienti. Servizi che diano una vita dignitosa a queste  persone.”

 

ANNFAS si è impegnata a collocare finora 40 ragazzi nel mondo del lavoro, perché questo era ed  è tuttora il suo obiettivo: dimostrare che le persone più fragili hanno capacità, doni, progetti,  desideri che bramano di raggiungere ed è meraviglioso vedere la felicità nei loro occhi quando  riescono a toccare i loro obiettivi. I loro occhi che brillano di speranze e di gioia sono impagabili,  proprio come gli occhi di Mariagrazia Cioffi Bassi che, grata alla vita, ci confida:  

Io dico sempre che se, quando è nato mio figlio, avessi saputo quello che lui mi ha donato,  quello che sarei riuscita a costruire grazie a lui in questi anni, non mi sarei disperata, sarei stata  felice della sua nascita. Adesso lo sono”. 

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