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Madeleine Delbrêl

Assistente sociale, scout, Serva di Dio di Bruno Bortoli Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Madeleine Delbrel (Mussidan, 24 ottobre 1904 Parigi, 13 ottobre 1964)

 

L’uomo conosce le risorse di cui ha bisogno, ma ignora molte risorse che possiede. Vi sono due cose da fare per aiutare gli uomini a stare bene: dare loro ciò di cui hanno bisogno, e far capire loro ciò che essi sono. Ci si ferma spesso alla prima cosa. (Delbrel, 2007, p. 89)

 

Madeleine Delbrel è una figura sempre più conosciuta, anche in Italia (la casa editrice Gribaudi ha in corso l’edizione italiana delle sue opere complete), soprattutto per il suo ruolo di protagonista nella storia del cattolicesimo contemporaneo. Si ricordano la sua conversione in età giovanile, il suo originale misticismo, i suoi interessi culturali — in particolare la poesia, coltivata fin dall’adolescenza —, la scelta di dedicarsi all’apostolato sociale, lungo un percorso che dallo scoutismo la porterà all’impegno sociale nella periferia operaia di Parigi dove sperimenterà una forma di dialogo con il marxismo, fatta di rispetto reciproco e di incontro sul piano concreto dell’azione sociale. Un’esperienza, quest’ultima, che la renderà preziosa collaboratrice della Chiesa francese nel promuovere forme nuove di evangelizzazione e di incontro con i non credenti, avviata nel secondo dopoguerra e sancita nelle sessioni del Concilio Vaticano II che videro la Delbrel come consulente nella stesura dei documenti preparatori.

Meno noto è il suo originale percorso nell’ambito del lavoro sociale, che la porterà alla ricerca di una formazione professionale, prima come infermiera e poi come assistente sociale, fino a svolgere una competente azione professionale, a tempo pieno, nell’ambito del servizio sociale municipale nel periodo che precede, accompagna e segue il secondo conflitto mondiale e, in seguito, come complemento dell’azione di apostolato (scelta come esclusiva, da un certo punto in poi), fino alla sua precoce e improvvisa scomparsa, a sessanta anni di età.

Quest’ultimo aspetto, recentemente, è stato al centro di due iniziative significative, la prima in Italia, la seconda in Francia, ambedue di rilievo internazionale: la ricostituzione della sezione italiana dell’Unione Cattolica Internazionale di Servizio Sociale (UCISS), dedicata proprio a Madeleine Delbrel, a ottanta anni dalla sua fondazione (avvenuta a Milano nel 1926), e un convegno di studi tenuto a Parigi alla fine del settembre scorso, che ha accompagnato, nella pubblicazione dell’opera omnia della Delbrel, il volume dedicato agli scritti sociali.

 

Una famiglia diffìcile

Madeleine Delbrel nacque il 24 ottobre 1904 a Mussidan in Dordogna da dove si trasferì ben presto, assieme alla famiglia, per seguire gli spostamenti lavorativi del padre Jules. Questi, assunto da una compagnia ferroviaria come semplice operaio fuochista, era riuscito da autodidatta a salire tutti i gradini della carriera fino a divenire capostazione di importanti città e terminare come responsabile di una stazione di Parigi. La madre, Lucile Junière, originaria di un’agiata famiglia di imprenditori, solidamente cattolica, aveva sposato imprevedibilmente quel giovane operaio, ateo e irruente, ma il matrimonio si era rivelato fin da subito un’unione fragile. Le reciproche incompatibilità causarono continue sofferenze ai coniugi e a Madeleine, fino alla decisione di separarsi e alla morte dei genitori, avvenuta a poche settimane di distanza l’una dall’altro, nel 1955.

Le vicissitudini familiari sono una costante che influenzò da vicino la vita e le scelte di Madeleine: dai continui traslochi che le impedirono la frequenza di una scuola (fu sempre seguita da insegnanti privati), alla rinuncia, dopo la sua conversione religiosa, a entrare in un ordine religioso a vantaggio di una soluzione compatibile con i bisogni di assistenza dei genitori, al dover dividersi fra i genitori (una volta separati) per affrontare le varie crisi che si succedevano quasi a ciclo continuo. Le incompatibilità di carattere fra i genitori furono aggravate dalla malattia del padre: una cecità progressiva che lo costrinse al precoce pensionamento e a interrompere l’amato hobby degli studi letterari. Questa condizione esacerberà la sua rudezza e il suo cattivo carattere, portandolo a scaricare sui familiari le frustrazioni professionali (l’aver dovuto lasciare anzitempo una posizione di tutto prestigio) e relazionali (appassionato di poesia, che coltivava egli stesso, amava circondarsi di esponenti radicali del mondo intellettuale parigino, ai quali metteva a disposizione il salotto di casa). I suoi comportamenti bizzarri e teatrali resero impossibile la vita familiare: si chiuse in una solitudine disperata, non voleva l’aiuto di nessuno, ma gridava a tutti di essere stato abbandonato dalle persone a lui più care (Mann, 2002, pp. 54-55).

Tutti i biografi evidenziano alcuni tratti della vita di Madeleine ritenuti particolarmente significativi. La sua precoce passione per la poesia accompagnerà le tappe della sua vita: un’adolescenza tumultuosa ma anche spensierata (amava il ballo, nel quale era infaticabile, ed era l’animatrice naturale del suo gruppo di amici); un brillante percorso universitario alla Sorbona, interrotto da una grave crisi personale: colui che Madeleine sperava sarebbe stato l’uomo della sua vita scelse di entrare nell’ordine religioso dei Domenicani1; una seconda crisi, altrettanto radicale: la sua conversione religiosa, tanto improvvisa («abbagliata da Dio») da poter essere datata: 29 marzo 1924.

 

La conversione

Perdere Jean aveva significato per Madeleine perdere fiducia nell’amore, nella vita. Questa esperienza lacerante le confermava ciò che aveva presentito da sempre: l’amore è illusorio e la vita assurda. Si rese conto di non poter nemmeno trovare rifugio nella poesia. Era distrutta, i problemi dei genitori non facevano che appesantire il suo fardello e aggravare il suo stato depressivo. Alla fine, malgrado le sue proteste, il medico di famiglia la fece entrare in una clinica psichiatrica. Per lei che non sopportava i medici in genere e in modo particolare gli psichiatri, il trattamento risultò insostenibile: si rifiutò di collaborare, fece lo sciopero della fame, fuggì dalla clinica. Ritornata a casa, pur accettando qualche diversivo, compreso un viaggio all’estero, consigliatogli dalle persone vicine (Mann, 2002, p. 56), si rinchiuse sempre più in se stessa e, pur mancandole pochi esami alla laurea, si rifiutò di proseguire. La religione, con cui si trovava comunque a confrontarsi, non rappresentava la soluzione ai suoi problemi.

Scommettere su Dio e mettere in gioco, come al tavolo del poker, la sua integrità intellettuale sarebbe stata una delle grandi capitolazioni umane. Non voleva cedere alla pseudo-sicurezza e al vestito spirituale preconfezionato che avrebbe voluto proteggerla dalla dura realtà, allontanandola dalla vita concreta. (Mann, 2002, p. 59)

Alla base della sua conversione vi furono due incontri: uno, avvenuto in una balera dove ormai si recava di rado, con dei coetanei che non erano «[…] né più grandi, né più stupidi, né più “idealisti” di me; vivevano la stessa mia vita, discutevano come me, ballavano come me, parlavano di tutto, ma anche di Dio, che sembrava fosse loro indispensabile quanto l’aria» (cit. in Mann, 2002, p. 61).

Nello stesso periodo, Madeleine conosce un giovane sacerdote, Jacques Lorenzo, cappellano degli scout, uomo di fede e di intelligenza, dotato di una spiritualità pratica che gli faceva mostrare un sincero rispetto per ogni persona, considerandola come unica nella sua essenza umana. Per un anno e mezzo l’abbé Lorenzo accompagnerà Madeleine in un percorso di approfondimento delle sacre scritture, incoraggiandola a continuare a pregare «interiormente» e a mettere a disposizione le sue doti relazionali e di animazione per la formazione delle piccole scout: le «lupette». Questa attività, accanto all’amata poesia2 (nel 1927 pubblica una sua raccolta), è accompagnata da problemi fisici e personali fino all’inizio del 1930. Sono anche anni di grande lavorìo su di sé, che la portano ad abbandonare la carriera letteraria e a decidere di dedicarsi al trovai! social.

 

Da infermiera ad assistente sociale

Comincia con il frequentare un corso per divenire infermiera volontaria della Croce Rossa che termina con il diploma del giugno 1932. Proprio in quell’anno, in Francia, era stato introdotto il diploma di Stato d’assistente sociale, in seguito all’importante Conferenza Internazionale tenuta a Parigi quattro anni prima e alla conclusione di un percorso che aveva portato i due precedenti filoni del lavoro sociale francese, il servizio sociale di fabbrica con le surintendantes d’usine e quello igienistico-familiare con le infirmières visiteuses, a integrarsi in un percorso formativo quinquennale, nel quale su una base iniziale di formazione infermieristica si innestava una formazione più precisamente sociale.

Sempre in quel periodo, la Delbrel sente, per caso, di un parroco di Ivry-sur Seine, una cittadina dell’immediata banlieue a sud-est di Parigi, che era disponibile a offrire alloggio a giovani laiche che avessero voluto occuparsi dell’animazione di un centro di azione sociale in mezzo ai poveri e agli operai della zona. Assieme ad altre colleghe animatrici scout, Madeleine aveva già progettato una vita contemplativa basata sul Vangelo ma vissuta, senza barriere, nel cuore della società. Così, nell’autunno del 1932, inizia la frequenza all’École Pratique de Service Social: il volontariato non le basta, vuole esercitare un’attività professionale riconosciuta.

L’EPSS non era una scuola qualsiasi: era fra le più note, fondata dal pastore Doumergue nel 1913 (Bortoli, 2006, pp. 341-343). Sappiamo che venne scelta da Madeleine in alternativa ad altre, altrettanto prestigiose ma con una connotazione cattolica ben più precisa. La motivazione non viene resa nota, ma si può ipotizzare che, come per altre scelte successive, Madeleine fosse restia a scegliere una scuola solo perché era cattolica. Era infatti convinta che benché l’ispirazione, la motivazione e, se vogliamo, anche lo scopo dell’azione sociale dovessero essere cristiani, vi era una «tecnologia» che andava adottata in base a parametri di efficacia misurabili e valutabili.

«Non aderisco per fare qualcosa di particolarmente cattolico, ma molto semplicemente e sinceramente per migliorare il nostro lavoro» (Delbrel, 2004b, p. 55). Questo dirà qualche anno dopo a una collega che voleva costituire un gruppo di operatori cattolici. Inoltre: «Credo sia difficile fare del vero servizio cristiano, se questo non è un servizio sociale» (Delbrel, 2004a, p. 192).

Si può quindi presumere che avesse scelto quella scuola per la sua neutralità ideologica e perché le dava più garanzie sul piano scientifico-professionale.

Ciò è confermato da come si espresse in una lettera del 1938 a un interlocutore che chiedeva consigli in merito a un’eventuale iscrizione: «Se dovessi iscrivermi di nuovo, rifarei la stessa scelta»; nella stessa lettera precisa anche quelli che a suo parere sono i requisiti preliminari per decidere di dedicarsi al lavoro sociale: «Essere razionali, avere il gusto di lavorare in autonomia, essere ben attrezzati dal punto di vista religioso» (Delbrel, 2004a, p. 283).

Nel luglio del 1934 si diploma con votazioni e giudizi lusinghieri: «natura d’élite, ha già dimostrato rare qualità d’irradiamento, animatrice di prim’ordine» (Delbrel, 2007, p. 30). Nei due anni successivi deve dedicarsi a uno stage a tempo pieno (che effettua a Ivry) seguito dalla tesi finale; nella valutazione del suo stage si può leggere: «La signorina Delbrel adempie le funzioni di assistente sociale in due centri sociali, vi dirige un servizio complesso e delicato con intelligenza, competenza, tatto e dedizione, dei quali si è lieti di dare la testimonianza più elogiativa» (Delbrel, 2007, p. 31).

La tesi finale: Ampleur et dépendance du service social, che le vale il massimo dei voti, viene pubblicata nel 1937 all’interno di una neonata collezione di servizio sociale avviata dagli editori parigini Bloud e Gay.

 

Rue Raspail e il dialogo con i marxisti

Il suo impegno con gli scout e la scoperta dei poveri la orientano verso un progetto di vita in comunità. In un primo tempo aveva immaginato di entrare al Carmelo ma, dovendo pensare ai suoi genitori che erano in un pietoso stato di salute, Madeleine, pur sicura di essere chiamata alla vita contemplativa, si era convinta che lei avrebbe dovuto viverla nel mondo, come una semplice cristiana laica.

Il 15 ottobre 1933 si installa con due amiche (una è infermiera, l’altra operaia) nella città comunista d’Ivry-sur-Seine, dove si occupa del Centro di azione sociale collegato alla parrocchia. Due anni dopo, questa nuova «équipe», chiamata la Charité de Jésus, si trasferisce in un altro alloggio, «11, rue Raspail»3, autonomo dalla parrocchia per avere più libertà. È una vera casa di famiglia, dove si possono incontrare persone molto diverse che appartengono agli ambienti e alle ideologie più varie. Ognuno si sente a casa sua, perché viene accolto per quello che è e trova un clima di condivisione.

Un po’ alla volta il desiderio di fondersi alla gente del quartiere le induce a abbandonare la semplice divisa (gonna blu e camicetta bianca) che avevano pensato di indossare e le regole che osservavano, come quella di mantenere il silenzio o di parlare sottovoce (un visitatore, una volta, aveva chiesto se c’era qualcuno che dormiva nella stanza di fianco). Tutte quelle pratiche religiose esteriori che le facevano assomigliare a delle «pinguine» e avevano l’effetto di far mantenere loro le distanze dalla gente comune vengono «abbandonate allegramente» (Mann, 2002, p. 90).

Numerosi cattolici, a Ivry, consideravano Madeleine come un’eccentrica e le rimproveravano l’eccessiva amicizia con i comunisti. Anche il parroco la guardava con diffidenza: una domenica, per punirla della sua eccessiva intimità con i marxisti del luogo, le rifiutò la comunione. Madeleine, senza sgomentarsi, si alzò e si spostò all’altro capo della balaustra attendendo di nuovo la distribuzione dell’eucaristia: il parroco non osò rifiutargliela una seconda volta.

Nelle sue note personali, in riferimento all’atteggiamento di quei cattolici che non le perdonavano di avere dei comunisti attorno, affermava che scegliere liberamente i propri amici era un suo diritto, e si rifiutava di rinunciarvi. Non che il rapporto con i marxisti fosse facile. Costoro, pur ritenendo che gli ideali della Chiesa fossero sicuramente elevati, rimanevano diffidenti, dato che la Chiesa non esprimeva una progettualità concreta e soluzioni utili ed efficaci. Nonostante ciò Madeleine rimaneva convinta della validità di una collaborazione amichevole. Per questo contribuì sempre a promuovere, sostenere e giustificare la presenza dei preti operai, che vivevano e lavoravano fianco a fianco con i comunisti. Pensava che Cristo non aveva mai chiesto ai suoi discepoli di rinunciare alla loro vita umana, ma, anzi, di assumerla pienamente.

Come può un prete comprendere le preoccupazioni della gente e misurare la gravità dei loro problemi se se ne tiene a distanza, tagliato fuori dalla vita reale? (Mann, 2002, pp. 158-159)

Nell’aprile 1936 Madeleine si impegna nel comitato per l’assistenza ai disoccupati che ha per presidente il sindaco comunista e per vicepresidente il parroco (che nel frattempo era divenuto Jacques Lorenzo). Ai cattolici che contestano la spregiudicatezza di questa scelta, Madeleine risponde: «Il Vangelo non ci dice: amerai il tuo prossimo, tranne i comunisti» (de Boismarmin, 2004, p. 66).

Nel frattempo consolida il piccolo movimento delle équipes nato dal suo esempio e da quello delle compagne. Pubblica un libricino, intitolato Nous autres, gens des rues, che definisce la spiritualità del gruppo: Noi altri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, questo mondo in cui Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità. (Cit. in de Boismarmin, 2004, p. 73)

 

L’attività professionale

Nel settembre 1939 la Delbrel è mobilitata come assistente sociale in aiuto della popolazione civile. Viene incaricata dalla municipalità di assumere la direzione dell’insieme dei servizi sociali del distretto. Sotto il suo impulso, la città diventa un centro pilota per i servizi sociali nella regione parigina, meta di visite da parte di molti che desideravano trarne ispirazione. Durante l’occupazione, il suo lavoro diventa estremamente pesante e tutta la sua creatività e il suo notevole senso pratico vengono messi in opera per lottare contro la miseria generalizzata. Dopo la guerra, le verrà dato atto di aver saputo compiere un eccezionale lavoro professionale senza per questo dare la minima legittimazione al governo di Vichy e alle forze di occupazione. Per questa attività le verranno proposti gli onori come «resistente», alla stregua dei partigiani combattenti, ma lei rifiuterà sempre questi riconoscimenti affermando di avere soltanto svolto il suo compito professionale.

Nel corso della guerra si trova al centro anche di un’altra impresa affascinante, questa volta sul piano religioso: ideare la formazione di sacerdoti per evangelizzare le regioni decristianizzate, la Missione di Francia, da cui prenderà avvio anche il movimento dei preti operai a lei tanto caro.

Dopo la liberazione Madeleine è confermata nelle sue funzioni di coordinamento dei servizi sociali del distretto. Organizza i soccorsi legati all’emergenza del dopo guerra (quello dell’alloggio in primo piano), ma si trova anche confrontata con la politica sociale del trionfante partito comunista (almeno fino al 1947) che spesso travalica nella propaganda, portandola costantemente a esaminare, alla luce dell’etica personale e di quella professionale, quali dovessero essere le prese di posizione da assumere.

Alla fine del 1946 la Delbrel presenta le sue dimissioni dall’incarico; è una decisione che lascia costernata la municipalità, che voleva affidarle l’assessorato ai servizi sociali, e la prefettura, che la voleva a ricoprire ulteriori funzioni di organizzazione e coordinamento.

La sua biografa e amica Christine de Boismarmin spiega come questa decisione fosse legata, almeno in parte, alla pressione del suo entourage. Da un lato, chi le era vicino desiderava che Madeleine si dedicasse prima di tutto all’unità e all’animazione del piccolo movimento (una quindicina di donne suddivise in più équipe, fra le quali una in Africa) da cui era riconosciuta come guida; dall’altro, temeva per un suo eccessivo coinvolgimento nella vita municipale e il rischio di essere sedotta dal marxismo (rischio, peraltro, non del tutto inverosimile).

In verità Madeleine non aveva mai cessato di adempiere ai doveri connessi al suo stato religioso, pur sovraccaricata dalle incombenze lavorative. Una situazione che lascia stupefatti, conoscendo le sue poche risorse fisiche.

Le sue amiche compresero solo più tardi cosa avessero significato per lei queste dimissioni; per quanto di temperamento guascone e chiacchierona, non era molto propensa a fare confidenze su quello che provava e soffriva:

Lungo tutta la sua vita vediamo correre come un contrasto tra la sua tenacia, addirittura il suo accanimento per far sì che l’azione intrapresa raggiunga lo scopo in maniera perfetta — perché questa azione è ispirata dal Vangelo — e una sorta di distacco, un’accettazione solitaria, dolorosa senza dubbio, ma silenziosa, quando le circostanze le indicano che deve far proseguire ad altri il suo compito. (de Boismarmin, 2004, p. 107)

Non per questo Madeleine cessa l’impegno sociale, «l’11 di rue Raspail» è il punto di incontro, di dialogo e di accoglienza per le persone più emarginate, nel quale trovano aiuto i rifugiati politici spagnoli. Le persone che entravano dalla porta di rue Raspail non erano dei «casi» ma degli «amici»; non venivano solo per ricevere l’elemosina ma perché sapevano di trovare un’accoglienza calorosa e amichevole da parte di persone comprensive. Spesso chiedevano consiglio a Madeleine, ma si accorgevano subito che non le piaceva presentare un’opinione personale come soluzione a un problema individuale: ascoltava, rifletteva a lungo e, con un pizzico d’umorismo, avanzava qualche ipotesi che lasciava poi alla discrezionalità dell’interlocutore.

L’impegno non cessa nemmeno sul piano pubblico: la Delbrel è solidale con le manifestazioni di protesta dei lavoratori e di tutti coloro che lottano per migliorare le condizioni sociali. Nel 1951 redige una lettera ai cristiani di Spagna per protestare contro la persecuzione giudiziaria di 34 operai di Barcellona, che avevano l’unica colpa di avere scioperato. Nel 1953 si impegna per fare ottenere la grazia ai coniugi Rosenberg, recandosi anche a Roma per chiedere al Papa che intervenga presso il Governo americano, come il Pontefice effettivamente fece, ma senza risultato. Aderisce al movimento di Pax Christi e si impegna contro la guerra d’Algeria.

 

A scrivere in un bar

Gli anni Cinquanta sono anche anni di riflessione e di elaborazione delle sue esperienze umane e religiose. Dedica molto impegno alla scrittura del libro Ville marxiste, terre de mission (che verrà pubblicato nel 1957). In questo testo espone le osservazioni maturate negli anni passati a contatto con i marxisti, a battersi contro le ingiustizie, a difendere i più poveri, ad amare i più disgraziati.

Per resistere al rischio marxista e per dare una risposta apostolica sembra necessaria la stessa cosa: ritrovare nella fede le motivazioni per una vita missionaria. I due comandamenti di Cristo inseparabili e simili, ma del quale il secondo è così importante solo perché è conseguenza del primo. (Cit. in de Boismarmin, 2004, p. 164)

Mentre scrive questo libro ha la costante preoccupazione di essere incompresa e così sottopone alla gerarchia i testi man mano che li prepara, accettando le osservazioni che vengono formulate e gli inviti a procrastinarne la pubblicazione.

La casa di rue Raspail era ormai un porto di mare dove passava gente a ogni ora del giorno, non certo il luogo ideale in cui concentrarsi sulla scrittura. Così Madeleine si rifugiava in qualche bar di Parigi, un contesto che aveva già scelto anche come luogo per pregare. Ma non un bar qualsiasi: doveva avere dei tavolini abbastanza grandi per appoggiare i suoi libri e non ci dovevano essere troppe persone intente a chiacchierare frivolmente. Amava l’umanità che passava in quei luoghi e da lì, spesso, provenivano le persone che sarebbero state aiutate nella casa di rue Raspail: con un alloggio temporaneo, la ricerca di un posto di lavoro, il sostegno nell’intraprendere un lavoro autonomo.

In quegli anni è sempre disponibile per corsi e conferenze — è l’esperta del dialogo con il marxismo. Viene chiamata nei seminari a far lezione ai futuri sacerdoti ed è in virtù di questa competenza che partecipa, con entusiasmo, anche alle sessioni preparatorie del Concilio Vaticano II.

Da una città all’altra prende la parola davanti agli uditori più diversi, ponendo l’accento sull’opportunità di intraprendere un dialogo leale tra cristiani e comunisti. Siccome per principio non voleva alcun compenso per i suoi interventi, non solo non viaggiava in prima classe, ma spesso non poteva nemmeno pagarsi l’albergo nelle pause durante i viaggi. Così, una volta, dopo essere rimasta al bar della stazione fino alle due del mattino ed essere stata messa alla porta alla chiusura del locale, aveva trascorso un’altra ora su di una panchina vicino a due barboni, finché la polizia era passata a portare tutti dentro. ma erano esperienze per lei arricchenti.

Ero in una grande città […], ero quasi senza un soldo, ero stanca, soffrivo del dolore della morte, di molti morti, dei morti della stessa carne della mia […] Camminavo ormai da diverse ore per far passare il tempo che mancava alla partenza del mio treno. Perché non dire che piangevo? [.] A un certo punto si mise anche a piovere e avevo fame. Le poche monete che mi erano rimaste segnavano il limite di ciò che avrei potuto prendere. Scelsi quello che potevo acquistare: un’insalata. La mangiai lentamente per renderla nutritiva e per dare alla pioggia il tempo di cessare. Di tanto in tanto i miei occhi emettevano qualche lacrima. D’un tratto le mie spalle furono strette in un abbraccio confortante e cordiale. Una voce mi disse: «Voi, caffè, io dare» […] Ho parlato spesso di questa persona, pensato a lei, pregato per lei, con una riconoscenza inesauribile. Questa donna non mi aveva aiutato «per dovere», perché ero dei suoi, perché ero della sua famiglia, o del suo ceto sociale, o del suo credo politico o religioso, o della sua nazione, ma perché era abitata dalla bontà. (Mann, 2002, pp. 202-203)

La Delbrel muore improvvisamente, nella notte del 13 ottobre 1964, al suo tavolo di lavoro, dove si era ritirata — con una moka di caffè forte e l’usuale pacchetto di Gauloises — per approfittare di quelle ore di maggiore tranquillità e dedicarsi alla sua attività preferita: la scrittura.

Nel 1988 il vescovo di Creteil apre il processo di beatificazione di Madeleine Delbrel; nel 1996, il processo viene riconosciuto valido e Madeleine è dichiarata «serva di Dio».

 

Bibliografía

Bortoli B. (2006), Igigantidellavorosociale, Trento, Erickson.

de Boismarmin C. (2004), Madeleine Delbrêl, 1904-1964. Rues des villes chemins de Dieu, Montrouge, Nouvelle Cité.

Delbrêl M. (2004a), ÉblouieparDieu. Correspondance, Volume 1, 1910-1941, Montrouge, Nouvelle Cité. Delbrêl M. (2004b), S’unir au Christen plein monde. Correspondance, volume 2, 1942-1952, Montrouge, Nouvelle Cité.

Delbrêl M. (2007), Profession assistante sociale. Écrits professionnels, volume 1, Montrouge, Nouvelle Cité.

Mann C.F, (2002), Madeleine Delbrêl, une vie sans frontières, Paris, Desclée de Brouwer

 

Note:

1 Jean Maydieu ebbe un percorso parallelo a quello di Madeleine nella ricerca di una evangelizzazione adeguata ai suoi tempi; morì anche lui, precocemente, nel 1955. Madeleine non accettò mai il fatto che i superiori domenicani le avessero impedito di incontrare Jean — al momento della sua scelta iniziale — per avere un colloquio chiarificatore con lui. L’ha sempre ritenuta una crudeltà e una ingiustificata mancanza di fiducia nei suoi confronti. Ciò non impedì che in seguito Madeleine collaborasse, con degli articoli, alla rivista teologica curata dal brillante domenicano.

2 Nel 1926 le venne assegnato il prestigioso premio Sully-Prudhomme, attribuito annualmente a un poeta emergente. La somma in denaro che lo corredava venne ceduta da Madeleine al padre, per pubblicare le sue ultime fatiche letterarie.

3 Quei locali, chiamati oggi Maison Madeleine Delbrel, sono sede dell’Associazione Les Amis de Madeleine Delbrel e sono stati acquisiti dal Comune per salvaguardare la testimonianza di Madeleine nella comunità di Ivry.

 

Fonte: La rivista di lavoro sociale, Vol. 7, n. 3, (dic. 2007), p. 405-413

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