Valori e conoscenze per una professione unitaria di Bruno Bortoli – Università Cattolica di Milano
Harriett Bartlett (Lowell, 18 luglio 1897 Cambridge, 2 febbraio 1987)
Harriett Moulton Bartlett, figura di punta nello sviluppo del servizio sociale ospedaliero e della formazione al lavoro sociale, nacque il 18 luglio 1897 nella città industriale di Lowell, ma ancora piccola si trasferì con la famiglia a Cambridge, nei pressi di Boston, all’epoca non ancora famosa come sede universitaria ma conosciuta piuttosto per le sue iniziative industriali.
Il padre Henry, ingegnere meccanico e responsabile di una Compagnia ferroviaria, era un influente rappresentante della comunità imprenditoriale e politica dello Stato. Di orientamento conservatore, influì molto sulle opinioni politiche della figlia che, cosa abbastanza insolita per l’ambiente del social work, unirà sempre una fede politica repubblicana all’orientamento riformista e socialmente impegnato dell’area professionale da lei scelta. Tale orientamento si combinava con un fisico austero — era molto alta e magra —, una sorprendente generosità (il suo mecenatismo ha lasciato dei segni importanti lungo tutta la sua esistenza fino alla cessione — alla sua morte — di un milione di dollari alla Boston Foundation per «assistere immigrati e rifugiati che incominciano a vivere nel nostro Paese e si sforzano di dare un valido contributo alla nostra comunità») e l’osservanza del bon ton del ceto sociale di appartenenza. Tutti tratti, questi, che la rendevano piuttosto eccentrica rispetto alla maggioranza delle colleghe ma che, forse, la favorivano anche un po’ quando si trattava di individuare soggetti per incarichi di responsabilità nel campo professionale e accademico: aveva un’autorevolezza che la rendeva la candidata «naturale» per molti incarichi di questo tipo.
Anche le scelte della sua vita personale furono conseguenti: fieramente indipendente e quindi nubile e senza parentela stretta, è conosciuta come «aunt Harriett» del giudice della Corte Suprema David Hackett Souter, che, pur in assenza di legami familiari, in virtù della profonda devozione che suo padre nutriva per Henri Bartlett, la elesse sua mentore per quanto riguardava le sue scelte formative e professionali1 e come modello di comportamento (anche nel gestire e nel parlare in pubblico dicono, scherzosamente, i suoi compagni di studio che ebbero modo di conoscere entrambi) nella vita privata.
Compì i suoi studi universitari al Vassar College, un istituto universitario, esclusivamente femminile, dove in quegli anni venivano inviate le figlie delle famiglie appartenenti all’élite sociale protestante e nel quale veniva anche impartita una formazione propedeutica al social work. Anche qui ebbe modo di primeggiare entrando in quell’élite intellettuale chiamata Phi Beta Kappa2 che, da sempre, è presente nelle biografie dei migliori studenti statunitensi. Nel 1919 e nel 1920 si trasferì a Londra per frequentare i corsi di Servizio Sociale proposti dalla London School of Economics, dove ottenne il Certificate in Social Science Administration. Qualche anno dopo, nel 1927, conseguirà anche un master in sociologia presso l’Università di Chicago.
Tra il 1921 e il 1945 Harriett Bartlett, in diversi ruoli, svolse le funzioni di caseworker e di supervisore nell’ambito del lavoro sociale ospedaliero presso il Dipartimento di Servizio Sociale del Massachusetts General Hospital di Boston. In realtà era stata scelta da Ida Cannon — nei fatti la prima assistente sociale ospedaliera americana e responsabile del dipartimento di servizio sociale del Massachusetts General Hospital (Bortoli, 2006) — per occuparsi della formazione delle future operatrici sociali.
A partire dal 1940 iniziò la sua carriera accademica, inizialmente in California e poi, dal 1947 fino al 1957, al Simmons College di Boston. Nel periodo bellico, oltre a presiedere l’American Association of Medical Social Workers (AAMSW), guidò anche, fino alla sua dissoluzione nel 1946, il Comitato che coordinava il personale impegnato in guerra. Era una figura di spicco non solo dell’associazione «di categoria», ma anche dell’Associazione Nazionale degli Operatori Sociali (National Association of Social Workers/NASW), in cui presiedeva numerosi gruppi di studio, fra i quali il più famoso, la Commission on Social Work Practice, attiva negli anni Sessanta, diede poi luogo alla pubblicazione più conosciuta: The Common Base of Social Work Practice, una sorta di manifesto del lavoro sociale «generic», vale a dire comune a tutti gli ambiti di intervento nei quali si prevedeva l’attività degli operatori sociali.
Ritiratasi dagli impegni formali al compimento del sessantesimo anno di età, durante i quasi trent’anni di pensionamento «attivo» ha continuato a mettere a disposizione le sue riflessioni e a collaborare con gli organismi che rappresentano il lavoro sociale professionale, attraverso i suoi scritti e la partecipazione attiva a gruppi e commissioni. È anche a parziale riconoscimento di questo impegno che, nel 1969, le venne assegnata la laurea ad honorem in lettere da parte dell’Università di Boston.
Il social work in ambito medico
Harriett Bartlett entrò come operatrice sociale in campo sanitario quando il lavoro sociale in quest’ambito era già ben sviluppato. Vi svolse tuttavia (com’è documentato dai suoi scritti e ben riconosciuto in letteratura) un ruolo cardine sia per stabilire una connessione fra la fase pionieristica e quella «matura» del case work, sia per collegare quest’ambito di specializzazione con gli altri campi di intervento del lavoro sociale.
Nel suo testo in cui rivisita i primi cinquant’anni di sviluppo del lavoro sociale in ambito sanitario, la Bartlett descrive un percorso a spirale «in cui periodi di incertezza e di fluidità si alternavano a quelli di chiarezza e di controllo». Aggiungeva che nei suoi primi trent’anni la crescita era stata lineare, con il lavoro sociale che si diffondeva da un ospedale all’altro. I metodi erano semplici perché negli ospedali «si trattava quasi sempre di una sola persona sulla quale poggiava la responsabilità di portare il punto di vista sociale nell’istituzione» (Bartlett, 1957, p. 15).
Com’è noto, la prima esperienza di social work in ambito ospedaliero è stata realizzata in Gran Bretagna a partire dal 1° ottobre 1895, quando la Charity Organisation di Londra, guidata da Charles Loch, assunse la prima ladyalmoner3. Negli anni precedenti altri ospedali avevano previsto di affidare a degli operatori il compito di indagare sulla situazione degli ammalati per evitare che persone non bisognose abusassero della carità ospedaliera; tuttavia, solo con l’iniziativa di Loch si precisa l’intenzione di migliorare il servizio ospedaliero a vantaggio dell’ammalato.
Alla prima di queste operatrici, Miss Mary Stewart, vennero affidati tre compiti:
Man mano che il servizio ospedaliero si sviluppava fu l’ultima funzione che finì per eclissare le prime due, benché, ancora nel 1919, una lady almoner di Londra avesse confessato a Richard Cabot come fosse difficile far comprendere alla direzione degli ospedali che il loro compito non era soltanto quello di impedire il ricovero «abusivo» negli ospedali. Nel 1905 è il Massachusetts General Hospital di Boston che assume, per il suo dispensario, Miss Garnet Pelton. L’esperienza di questa prima assistente sociale ospedaliera americana durò, però, solo sei mesi, in quanto, ammalatasi di tubercolosi (probabilmente contratta proprio stando a contatto con i pazienti del dispensario), fu sostituita da Ida Cannon, che assieme a Richard Cabot ebbe un ruolo centrale nel costituire il Medical Social Work negli Stati Uniti, e nel delinearne i principi operativi.
Nel 1910 le almoners erano presenti in quindici ospedali di Londra; negli Stati Uniti, nel 1924, il servizio sociale era diffuso in ben 420 ospedali. Il 1913 è l’anno più importante per lo sviluppo della professione in questo campo di azione: in quest’anno, infatti, viene pubblicato il libro di Ida M. Cannon, Social Work in Hospital ed è anche l’anno in cui, quasi simultaneamente, prende avvio il servizio ospedaliero in Francia, Germania (Berlino e Francoforte), Olanda (Amsterdam) e Austria (Vienna). L’esperienza francese è direttamente modellata su quella avviata da R. Cabot; in una pubblicazione del 1914 curata da Mme Georges Getting si afferma che compito del servizio sociale è fare in modo che l’ammalato comprenda bene i consigli del medico, segua le sue prescrizioni, riceva effettivamente le cure desiderate e viva in un ambiente adatto a rendere efficace il trattamento.
Tre erano i compiti da assegnare all’assistente sociale, secondo Cabot: contribuire allo sviluppo della medicina integrando le sue conoscenze con quelle ricavate dalla storia di vita del paziente, rappresentare un tramite (un «interprete» diceva Cabot) tra il medico e il paziente e i suoi familiari, favorire il collegamento con tutte le altre istituzioni sanitarie e assistenziali.
Obiettivo del servizio sociale ospedaliero era quindi quello di riuscire a comprendere l’ammalato e tutto ciò che era in grado di favorire e completare l’attività del medico e delle infermiere per quanto riguardava sia la comprensione della malattia che il trattamento. Comprendere l’ammalato significava, in primis, comprendere: il suo stato d’animo, la sua situazione personale, finanziaria e lavorativa, i suoi rapporti sociali in ambito familiare, scolastico, lavorativo, religioso, del tempo libero; consigliare e sostenere l’ammalato spiegandogli la natura e l’evoluzione ulteriore della sua malattia, ciò che si faceva per attenuarla o curarla, quali persone o organismi esterni all’ospedale avrebbero potuto essergli utili per l’assistenza o il trattamento che gli avrebbero messo a disposizione.
I seguenti fattori avevano favorito la consapevolezza dell’utilità o del bisogno (come diceva Cabot) del servizio sociale ospedaliero:
«Il movimento del social work in ambito sanitario» affermò Ida Cannon in una comunicazione del 1930 «ritiene che ci dovrebbe essere all’interno dell’ospedale qualcuno assegnato formalmente a rappresentare il punto di vista del paziente […] e per elaborare assieme al medico un’applicazione del trattamento sanitario alla luce delle condizioni del paziente stesso» (Bartlett, 1975, p. 209).
Nel 1934 l’American Association of Medical Social Workers (l’American Association of Hospital Social Workers aveva modificato il suo nome in quell’anno) pubblicò un rapporto predisposto da Harriett Bartlett (1934). In questo rapporto il medical social work veniva definito come una specifica forma di social case work focalizzato sulla relazione tra malattia e disadattamento sociale. La Bartlett scriveva: «è una parte importante della funzione dell’operatore sociale interessarsi dei problemi sociali che originano direttamente dalla natura del trattamento sanitario. In questo modo facilita e amplia il trattamento sanitario» (Bartlett, 1934, p. 99). L’enfasi veniva posta sul superamento degli ostacoli sociali che impedivano di godere di buone condizioni di salute: «fornire qualche occupazione o esperienza per la persona sbalzata fuori dal suo regolare piano di esistenza a causa della malattia cronica, per controbilanciare ciò che ha perso e farle sentire che occupa ancora un posto utile nella società» (ibidem).
Gli ambiti nei quali il lavoro sociale veniva praticato in campo sanitario erano cambiati nel corso del tempo. Dal 1905 al 1930 le medical social workers avevano svolto la loro attività quasi interamente all’interno degli ospedali. La Bartlett (1957) descrive il cambiamento intervenuto come lineare, con un numero di dipartimenti di servizio sociale che cresceva costantemente e con una sorta di monopolio della componente sociale. Con l’avvento della psicoterapia, professionisti come psicologi e sociologi cominciarono a essere attivi negli ospedali e si misero in concorrenza con gli operatori sociali per i «ruoli sociali».
Per alcuni aspetti la competizione con altre discipline e l’incapacità (o non volontà) di definire una nicchia che fosse esclusivamente loro preparò gli operatori sociali a adattarsi meglio di altre professioni ai cambiamenti intervenuti nel contesto sanitario, ampliando l’ambito di riferimento (da ospedaliero a sanitario), ma rappresentando anche una fonte di riflessione sulla natura del lavoro sociale sempre in difficoltà nella definizione del suo oggetto e, quindi, nel contemperare i diversi ambiti di intervento e i differenti approcci messi in atto.
La Working definition del lavoro sociale
Comprendere la professione del lavoro sociale nel suo complesso era l’obiettivo di Harriett Bartlett. Sinceramente convinta del suo obiettivo, applicò le sue notevoli abilità di analisi e di concettualizzazione in questo impegno che accompagnò tutta la sua carriera professionale. La sua presenza nelle situazioni importanti che hanno contrassegnato lo sviluppo del lavoro sociale come disciplina testimonia questa sua aspirazione.
Il secondo dopoguerra si apriva su una situazione paradossale: il social work aveva acquisito un’identità professionale ma questa era essenzialmente limitata al casework mentre altri ambiti di attività, che condividevano obiettivi, principi e valori, si trovavano delegittimati in quanto non si riconoscevano nell’equiparazione social work = casework propugnata dai principali centri accademici che avevano istituzionalizzato questo punto di vista.
Le voci che chiedevano una maggiore formalizzazione della base concettuale e una maggiore considerazione di tutti gli ambiti di attività del lavoro sociale trovarono una prima risposta nel rapporto Hollis-Taylor, Social Work Education in the United States, pubblicato nei 1951 per conto dell’Associazione americana delle scuole di lavoro sociale, che raccomandava un riesame delle conoscenze alla base degli interventi professionali, affermando congiuntamente che le radici della formazione professionale risiedevano più nella pratica che nell’ambiente accademico. Era un chiaro invito ad andare oltre i confini del casework per acquisire competenze negli ambiti dei gruppi, della ricerca, dell’organizzazione di comunità e dell’amministrazione dei servizi sociali.
Lo sviluppo dell’Associazione americana degli operatori sociali, rappresentando coloro che erano attivi nei diversi segmenti del social work, stimolò uno studio per la riformulazione dei principi di base del lavoro sociale che tenesse conto dei diversi ambiti di intervento e delle differenti metodologie utilizzate. Un primo passo fu quindi la costituzione di un gruppo di studio che procedesse alla definizione della pratica del social work. Tale gruppo di studio, presieduto da Harriett M. Bartlett, formulò nel 1958 la Working Definitori of Social WorkPractice4, le cui concettualizzazioni erano abbastanza ampie da abbracciare la varietà di metodi, ambiti e problemi relativi agli operatori sociali. Il titolo scelto, con l’uso della parola working, voleva prudentemente mettere le mani avanti, disponendosi al confronto con quanti non la pensavano allo stesso modo. In realtà questa identificazione degli elementi comuni che potevano collegare un’ampia gamma di operatori in un’unica professione rappresentò una pietra miliare nello sviluppo della professione. Il perché lo si potè scoprire qualche anno dopo quando H.M. Bartlett, con una serie di articoli e due monografie (1961; 1970), presentò i contenuti di quello studio.
Soprattutto nella seconda monografia, The Common Base of Social Work Practice, il lavoro sociale è concepito come una professione che si basa primariamente e che si sviluppa attraverso i suoi valori che considerano il potenziale dell’uomo e un sempre crescente corpo scientifico di conoscenze sul funzionamento sociale, visto come lo scambio tra le persone e il proprio ambiente sociale. Attraverso questi valori e queste conoscenze gli approcci e le tecniche di intervento del lavoro sociale vengono sviluppati e modificati in vista del cambiamento sociale. Questo complesso di valori, conoscenze e interventi è l’eredità che la professione trasmette ai suoi membri fornendo loro un senso di identità.
Bibliografia
Bortoli B. (1997), Teoria e storia del Servizio sociale, Roma, la Nuova Italia Scientifica.
Bortoli B. (2006), Igiganti del lavoro sociale, Trento, Erickson.
Bartlett H.M. (1934), Medical Social Work:A study of Current Aims and Methods in Medical Social Case Work, Chicago, American Association of Medical Social Workers.
Bartlett H.M. (1940), Influence of the Medical Setting on Social Casework Services, in Proceedings of The National Conference of Social Work, New York, Columbia University Press, pp. 258-269.
Bartlett H.M. (1951), The Significance of the Study of Social Work Education, in The Social Welfare Forum, 1951, New York, Columbia University Press, pp. 61-72.
Bartlett H.M. (1957), Fifty years of social work in the medical setting: Past significance/future outlook, New York, National Association of Social Workers.
Bartlett H.M. (1960), Ways of Analyzing Social Work Practice, in The Social Welfare Forum, 1960, New York, Columbia University Press, pp. 194-205.
Bartlett H.M. (1961), Analyzing Social Work Practice by Fields, New York, National Association of Social Workers Inc.
Bartlett H.M. (1970), The Common Base of Social Work Practice, Washington, DC, National Association of Social Workers Inc.
Bartlett H.M. (1975), Ida M. Cannon: Pioneer in medical social work, «Social Service Review», June, pp. 208-229.
Gehlert S. e Browne T.A. (a cura di) (2006), Handbook of Health Social Work, New Jersey, John Wiley & Sons, Inc. Hoboken.
Yarbrough T.E. e Souter D.H. (2005), David HackettSouter: Traditional Republican on the Rehnquist Court, New York, Oxford University Press, Inc.
NOTE
1 Pur nominato da un presidente repubblicano (da Bush Sr. nel 1990) — come conservatore —, normalmente vota assieme all’ala liberal della Corte. Nonostante ciò, è uno strenuo custode delle regole e della tradizione della Corte Suprema.
2 È l’acronimo dell’espressione greca che significa «la filosofia è maestra di vita».
3 Così si chiamava, nel Medio Evo, la figura che sovrintendeva le ammissioni al St Bartolomew’s Hospital di Londra (Bortoli, 2006, p.167) . Questa espressione identificò a lungo le assistenti sociali ospedaliere in Gran Bretagna.
4 In Bortoli 1997, cap. V, ho proposto la traduzione italiana della Working definition e una sintesi delle concettualizzazioni esplicative di H.M. Bartlett contenute in The Common Base of Social Work Practice, a cui rinvio per un approfondimento della tematica.
Fonte: La rivista del lavoro sociale, Vol. 10, n. 1, (apr. 2010), p. 137-142