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Guido Colucci

Guido Colucci (1906-1965)

 

Il Servizio sociale per minorenni del Ministero di grazia e giustizia, esteso anche al settore “adulti” nel ’76, risale all’immediato dopoguerra. La legge del ’34 istitutiva dei Tribunali minorili prevedeva indagini diagnostiche e l’affidamento di minori a “persone e istituti di assistenza”, ma era rimasta inapplicata per comprensibile mancanza di offerta da parte di privati di farsi carico di ragazzi disadattati.

Il servizio sociale, col solo precedente della Scuola del Celio, era allora una professione nuova: il suo atto di nascita può collocarsi nel ’46 quando al convegno di Tremezzo, promosso dal Ministero per l’assistenza pubblica e dalla Delegazione del governo per i rapporti con l’UNRRA (poi AAI), si gettarono le basi per la nascita delle scuole.

Guido Colucci, che a quel convegno quasi certamente partecipò, fu il catalizzatore fra la norma giuridica e la nuova professione creando un servizio dipendente dal Ministero, articolato sul territorio, inserito come struttura autonoma diretta da assistenti sociali, parallela agli istituti e servizi che costituivano i Centri di rieducazione.

Iniziò con un pugno di persone. Il 31 gennaio ’49 scriveva ad un’amica: “il Direttore generale, pur facendo tentativi di sganciamento, ha concluso: quanta gente vuole? Io naturalmente ho sparato 20 o 30, disposto a ripiegare sulla dozzina perché con meno quanto è vero Iddio ci rimetto”. Ma nel ’50 gli uffici di servizio sociale esistevano già in 8 dei 24 distretti giudiziari.

La gestione del personale, entrato in ruolo quasi 15 anni dopo (legge 1085 del ’62) fu la più fantasiosa: gli uomini erano assunti come agenti di custodia e le donne come operaie salariate giornaliere (le formule degli insegnanti aggregati e delle retribuzioni a parcella sono successive). Ma la selezione molto accurata unita al fascino esercitato dal nuovo servizio, all’attualità del problema (“Sciuscià” di De Sica è del ’46) e all’irripetibile atmosfera postbellica fecero emergere una leva di assistenti sociali particolarmente motivata e capace di garantire una sorta di autoformazione della categoria.

Fin dall’inizio Colucci volle che fosse curata anche l’impostazione organizzativa degli Uffici: tenuta di schedari e archivi, forma e contenuto dell’inchiesta, registrazione dei colloqui e dei diari, divisione del lavoro in zone, rapporti con le risorse ambientali furono modalità operative applicate poi anche ai Centri di servizio sociale per adulti e per molti aspetti esemplari.

Gli Uffici furono da subito ambita sede di tirocinio per allievi delle scuole e il livello qualitativo del lavoro mantenuto anche in seguito dal servizio ha indubbiamente radice nelle sue origini.

Parallelamente alla creazione del servizio sociale giudiziario Colucci avviò una politica di apertura degli istituti, allora impensabile e osteggiata sia all’esterno che all’interno del Ministero. Nell’aprile ’49 raccontava: ” … ad un certo punto mi è sembrato che tutto stesse per andare a fondo: ordine o quasi di richiamare i ragazzi, belle parole di lode generica che di solito significano liquidazione e, come colpo finale, l’annunzio che dovevo andarmene in America per sei mesi. Il che significava chiusura di ogni attività. Ho preso il toro per le corna (con rispetto per le relazioni coniugali del mio capo) e gli ho detto che il viaggio mi pareva un assurdo e una disonestà da parte mia. Ora sembra che il nuovo direttore generale abbia preso le cose sul serio … “.

Infatti nello stesso ’49 sorgono campeggi per ragazzi ricoverati in Casa di rieducazione, diretti da assistenti sociali, e i primi Focolari finanziari dall’UNRRA.

L’idea dei Focolari ebbe radici in un’esperienza vissuta da Colucci come volontario, insieme alla famiglia, nei campi di lavoro del Servizio civile internazionale di cui contribuì a creare la sezione italiana che poi presiedette fino al ’60. I campi furono mirabile strumento di fratellanza fra popoli appena usciti dalla guerra e scuola di impegno per la ricostruzione. Con questo spirito nel ’47 Colucci ne aveva organizzato uno a Silvi Marina per una decina di ragazzi, affidato ad un assistente sociale che due anni dopo avrebbe diretto un Focolare.

I Focolari dell’UNRRA ebbero vita breve ma la formula e parte degli attori, sia pure con ruoli diversi, ricompaiono nel ’56, anno in cui nasce l’Associazione Focolari e la legge 888 istituzionalizza l’assegnazione del minore al Focolare non più come modalità di ricovero in istituto ma come prescrizione dell’affidamento in prova del servizio sociale.

Risalendo da queste memorie di lavoro alla memoria della persona, ricordiamo di Guido Colucci la prima sede di servizio some giovane magistrato in Etiopia, i sette anni di prigionia in India durante i quali impartiva lezioni di diritto ai compagni, il ritorno in famiglia dove conobbe il primo figlio già fanciullo, l’assegnazione al Ministero che dovette lasciare nel ’53, la presidenza del Tribunale minorenni di Roma, la partecipazione a congressi in Italia e all’estero “messaggero di cultura e morivo di orgoglio nazionale” (articolo citato oltre), la pubblicazione di numerosi scritti giuridici, l’insegnamento della legislazione minorile presso scuole di servizio sociale di Roma, la più che decennale presidenza del Centro italiano di servizio sociale, il lavoro svolto nell’ambito delle Nazioni Unite per la formulazione, fra l’altro, della “Carta dei diritti del fanciullo”.

A testimonianza del ricordo lasciato da Colucci in chi lo conobbe, che ha più valore dei pur prestigiosi riconoscimenti postumi ufficiali, leggiamo lo stralcio di un articolo pubblicato sulla rivista della Associazione magistrati nel giugno ’65 quando egli morì appena cinquantanovenne.

“Tutti coloro che ebbero la ventura di accostarsi a lui, colleghi o collaboratori o imputati, trassero un’identica impressione, riportarono un unico eguale sentimento: un calore umano che annullava le distanze e scioglieva gli ostacoli, rendeva viva ed operante la comunione degli spiriti, solennemente mortificando le più accreditate teorie sulla incomunicabilità. Guido Colucci comunicava con i collaboratori come con gli imputati, con i colleghi come con gli avvocati, con gli amici come con i dissenzienti. La ferrata preparazione professionale, la cultura umanistica approfondita, il temperamento di combattente della giustizia e soprattutto questa sua dote preclara di umana vicinanza, lo rendevano un magistrato completo, un uomo degno di essere giudice”.

E una collega che lavorò vicino a lui scrive:

“Il rimpianto per la sua prematura scomparsa è tuttora presente in chi allora ebbe la fortuna di accompagnarsi a lui. Noi che ancora siamo qui, anche nel ricordo di nostri colleghi che ci hanno lasciati, rinnoviamo il nostro impegno a portare avanti l’insegnamento che ha saputo e voluto darci”.

 

FONTE: La rivista di servizio sociale, A. 40, N. 3 (set. 2000), p .91-94 INSERTO SOSTOSS – Società per la Storia del Servizio Sociale

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