Giuliana Raoss

 

Analisi Videointervista a cura di Alessandro Monari (05.02.2019)

 

La Signora Giuliana Raoss, da subito, ci permette di comprendere la sua ponderata esuberanza che le conferisce un’attitudine convincente in grado di rapire l’attenzione dell’ascoltatore. Il suo tono di voce è mantenuto sempre alto e sicuro. La gestualità che accompagna il suo racconto conferma il suo carattere fermo e tenace che si può individuare anche in parecchi degli esempi che ci offre durante la descrizione della sua formazione. La predisposizione per il dialogo con l’ascoltatore la porta spesso a fare digressioni che coinvolgono emotivamente quest’ultimo permettendogli di seguire il racconto in maniera tangibile. Riusciamo a leggere le emozioni provate dall’intervistata attraverso le espressioni facciali. Il suo viso caratteristico e marcato lascia trasparire ogni sensazione associata al racconto e ai diversi episodi che hanno caratterizzato la sua vita lavorativa e non. La sicurezza che percepiamo grazie alla sua voce, al modo di raccontarsi e raccontare le dona la giusta credibilità facendoci capire che proprio questa caratteristica le ha permesso di proseguire e raggiungere i traguardi migliori nel campo dell’assistenza sociale. 

Le sue parole  introducono le motivazioni che l’hanno spinta a diventare assistente sociale. 

In un’epoca in cui ai minori e ai degenti veniva dedicata poca attenzione e assistenza la Signora Raoss dice di essersi avvicinata all’assistenza sociale, oltre che per predisposizione, anche grazie ad una personale esperienza di ospedalizzazione quando era bambina. Essere l’oggetto di studio e di curiosità degli assistenti e dei medici ha accresciuto in lei la necessità di avvicinarsi al mondo dell’assistenza. La sua infanzia è segnata dall’impostazione paternalistica e svalutativa della didattica e della considerazione del minore all’interno della società. Questo portava il bambino, come afferma la Signora Raoss, a ‘…Non aiutarsi nella costruzione della stima e della fiducia in se stessi.’.

Così, la situazione in cui cresceva la spinse a reagire avvicinandosi all’assistenza sociale e alla sicurezza su cui lei, al contrario, non aveva potuto fare affidamento.

 

La formazione

Il percorso di formazione della Signora Raoss, dopo il liceo, coincise con il periodo delle rivolte studentesche, operaie e cittadine che caratterizzarono gli anni intorno al 1968. Il clima sociale che si percepiva in quell’epoca era di rivoluzione, di contrasti e di ribellione. Dilagava l’idea di porre maggiore attenzione sull’essere umano per valorizzarlo in quanto persona pensante e dotata di principi. Questi anni di cambiamento furono parecchio stimolanti per la formazione professionale dell’intervistata, alla scuola per assistenti sociali. 

La Raoss ci parla in modo molto sereno e fiero dell’organizzazione dell’équipe didattica professionale, del rapporto con i docenti (a loro volta assistenti sociali) e dell’inclusione che si percepiva all’interno del gruppo di studenti. ‘… È stata un’esperienza triennale di tipo partecipativo molto soddisfacente e per quanto mi riguarda anche molto costruttiva, dal punto di vista della re- identificazione con me stessa.’ afferma. Finalmente in quel periodo ebbe la possibilità di considerarsi parte di una realtà che l’avrebbe portata a raggiungere il suo unico obiettivo: diventare un’assistente sociale. 

Dopo il diploma, il lavoro all’ospedale psichiatrico di Pergine. 

La condizione critica del manicomio trentino le permise di partecipare ad un concorso tenuto dalla Provincia di Trento per un ruolo diverso e maggiormente caratterizzante per la professione ancora poco valorizzata all’interno della società. Il concorso combaciava con la trasformazione del manicomio in ospedale psichiatrico, con la creazione dei reparti, dei comprensori, delle divisioni su base territoriale e terapeutica. 

In questo modo, la Signora Raoss entrò a far parte dell’equipe assistenziale all’interno di uno dei reparti meglio gestiti dell’ospedale psichiatrico, reduce dai cambiamenti radicali delle nuove riforme. L’impegno presso l’ospedale, sostiene l’intervistata, la portò ad interpretare il suo lavoro come un vero e proprio percorso di crescita, di reintegrazione, di miglioramento e assistenza nei confronti degli individui ricoverati. Uomini e donne bisognosi di una sicurezza personale e sociale, di una garanzia umana a cui affidarsi per ricominciare a credere nella propria individualità.

‘…Abbiamo fatto un po’ di tutto: dall’aiutare i degenti a capire che erano titolari di pensione, a fargli la carta di identità, perché non avevano la carta d’identità, a organizzare le prime assemblee di reparto…’, ci spiega.

 

Grazie a questo ruolo e al confronto con le realtà ospedaliere e assistenziali la Signora Raoss riesce a comprendere come la società si stesse allontanando dalle concezioni gerarchiche e disumanizzanti che governavano in quelle strutture. L’ambiente ospedaliero diventava più aperto e più razionale. Il dialogo con le istituzioni, tanto quanto quello con la comunità di Pergine, permetteva all’assistito di sentirsi più umano e all’assistente di poter applicare le sue competenze in modo più efficace. 

La Signora Raoss conclude la digressione riguardo alla sua formazione riflettendo su una parola: comunicazione. La comunicazione, ci fa capire, era (ed è) la competenza più importante e più difficoltosa da padroneggiare. I pazienti con cui aveva a che fare non avevano modo di comunicare; la malattia mentale non permetteva loro di avere capacità verbali. Era compito dell’assistente sanitario imparare a comunicare in modo non verbale per instaurare uno pseudo dialogo in vista del miglioramento e della cooperazione. Le parole sincere della Signora Raoss ci comunicano quanto l’assenza e il bisogno di comunicazione fosse emotivamente stimolante e fondamentale per la crescita personale, non solo dell’assistito ma anche di assistenti come lei. 

L’intervista prosegue con la citazione di diversi cambiamenti a livello legislativo che, secondo la Raoss, tutelarono l’individuo in modo migliore. La riforma del diritto di famiglia emanata nel ’75 fu importante per rafforzare l’unione del nucleo familiare riducendo le conseguenze della sua possibile scissione; mirava inoltre a tutelare i diritti fino ad allora negati alla donna. In questo modo la potestà fu assegnata ad entrambi i genitori e non solamente al padre di famiglia. Le leggi 616 e 833 del ’78/‘80, invece, agirono sull’assistenza e sulla beneficenza istituendo maggiori diritti per gli assistiti in ambito sanitario. La rinomata legge 180, per la chiusura dei manicomi, la legge 405 del ’75 che istituiva l’organizzazione del consultorio familiare. Furono grandi passi verso la stabilità e la diffusione di sicurezza per i membri della società in evoluzione.

 

Il percorso professionale

Nel periodo che va dall’ ’83 al ’94, la Signora Raoss iniziò a tutti gli effetti il lavoro di assistente sociale territoriale nella provincia di Trento. In quegli anni la Provincia e i diversi comprensori del territorio provinciale decisero di assegnare alcuni assistenti sociali a specifiche zone nella Provincia; in questo modo era possibile disporre dell’assistenza sociale in situazioni di necessità. 

La legge Nr. 14 del 1991 affidò poi l’intera gestione dell’assistenza sociale ai comprensori. La collocazione sul territorio permise agli assistenti sociali come la Signora Raoss di prendere confidenza con la condizione sociale, con la collettività ed i suoi problemi.

‘Ad esempio conoscevamo gruppi di giovani che erano a rischio di devianza, non con un disturbo conclamato ma con la possibilità di arrivare a momenti di difficoltà. Ecco, in quegli anni era stato parecchio importante il discorso dell’assistenza domiciliare, perché in qualche modo affermava la necessità di sostenere la persona nella sua autonomia, a domicilio…’  afferma ‘Quindi furono anni dedicati alla psicologia della relazione, la sensibilizzazione al trattamento…’. 

Sempre di più, l’assistente sociale prendeva confidenza con la realtà e con l’ambiente in cui le problematiche si sviluppavano; questo portava alla valorizzazione delle risorse della persona e al suo reinserimento in una collettività che poteva essere adattiva alla sua stabilizzazione. 

La Signora Raoss, continuando ad elencare i suoi incarichi, ci parla anche della fruizione del Telesoccorso. Un’ulteriore modalità di assistenza domiciliare sul territorio, istituita con l’obiettivo di essere vicini agli assistiti nonostante non fosse possibile incontrarli fisicamente. Passo dopo passo il suo lavoro e quello dei colleghi acquisisce un ruolo fondamentale per la tutela degli individui bisognosi di assistenza. Grazie all’evoluzione della figura dell’assistente sociale e alla maggior importanza con cui si guardava al lavoro da loro svolto, gli assistenti divennero veri e propri punti di riferimento per la sicurezza della società. 

Durante gli anni successivi all’emanazione della Legge sull’adozione e sull’affidamento del 1983, l’intervistata prende confidenza con l’ambito dell’assistenza familiare. L’istituto dell’affidamento e dell’adozione era una completa novità e, durante quegli anni, anche chi se ne doveva occupare aveva una scarsa formazione al riguardo. Con il passare del tempo a contatto con le situazioni difficoltose di alcune famiglie la Signora Raoss, come tutti gli assistenti che si occupavano di affidamenti e diritto di famiglia, dovettero necessariamente addentrarsi in un ambito complesso e acquisire un’interdisciplinarietà grazie a cui poter dare il loro contributo. ‘…Quindi implicava tutto un ragionamento: chi sono, dove le trovi, chi le reperisce, in che modo si formano, cosa devono offrire al ragazzino che prelevo o al minore che viene affidato…’ racconta ‘…sono stati anni, in cui è avanzato in modo più evidente il discorso sulla famiglia, la famiglia come contesto. La famiglia come soggetto di bisogni e portatore di risorse, quindi non solo di risorse per le proprie difficoltà ma di risorse per gli altri…’.

 

Come possiamo percepire dalle sue parole il lavoro a contatto con le famiglie bisognose e con i minori, indusse una apertura mentale stravolgente e formativa che le permise di utilizzare le competenze lavorative in suo possesso nel modo migliore nonostante il contesto di applicazione fosse cambiato. 

Nel 2000 arrivò il pensionamento. Questo non le precluse di lavorare comunque all’interno dell’ambiente in cui aveva vissuto, e dunque, fino al 2009 rimase prima coordinatrice dell’area dell’assistenza minorile e infine ricoprì il ruolo di capoufficio. Leggiamo nelle sue espressioni che quest’ultimo incarico non la entusiasmò; ciononostante riuscì a mantenere alta l’attenzione nei riguardi dell’amministrazione. Il suo ruolo mediava il rapporto tra l’organizzazione e la politica locale. 

‘…Erano anni in cui è stato speso tanto per la questione progettazione, programmazione, organizzazione, negoziazione, insomma aspetti molto legati al saper essere nell’organizzazione e nell’ente locale. Doveva diventare efficace, efficiente, trasparente, rispettare la privacy, diciamo rispondere a tempi giusti e specifici. Quindi principi importanti per quanto riguardava il diritto del cittadino e che richiedevano un’organizzazione ferrea…’ afferma la Raoss.

 

Il rapporto tra Servizio Sociale e Politica

La Signora Raoss sostiene che il servizio sociale abbia sempre avuto un rapporto dialettico e dinamico con le istituzioni nonostante tutte le difficoltà che dovette affrontare fin dal momento della sua nascita. L’inserimento dell’assistenza sociale sul territorio, come già detto, ha incentivato il dialogo e il rapporto tra le istituzioni politiche e l’ente stesso. L’intervistata sostiene che il rapporto formatosi negli ultimi anni del ‘900 tra politiche locali e il servizio sociale aiuta il lavoro del singolo assistente con nuove proposte e maggior confronto tra idee diverse. La creazione di corsi di laurea dedicati ed il riconoscimento giuridico della professione ha fornito una maggiore visibilità al ruolo dell’assistente sociale nelle istituzioni. 

L’evoluzione legislativa, politica e istituzionale, dunque, ha reso più solida e concreta l’attività dell’assistente sul campo, comprendendo la professione in un ordine ufficiale come quello dei medici o degli psicologi. D’altro canto percepiamo una grande preoccupazione da parte della Signora Raoss, causata dalla percezione dell’odierno ruolo dell’assistente sociale come “silente”. 

Le organizzazioni di assistenza sociale, nonostante il riconoscimento istituzionale, oggi sembrano essere ancora troppo marginali rispetto alla loro importanza. La paura dell’intervistata riguarda la percezione della perdita di valori costituzionali: inconsapevolmente cioè limita e confonde le priorità dei cittadini in quanto insieme di persone, di individui, di uomini.

 La speranza di una maggiore attenzione alla professione in sé e all’individuo potrebbe, secondo la Signora Raoss, contrastare il timore di un ipotetico declassamento del ruolo dell’assistente sociale. 

‘Quale è il principio del codice deontologico che sente maggiormente aderente ai suoi ideali?’

Un’interessante domanda rivolta all’intervistata ci permette di conoscere ancora meglio il suo punto di vista.

La Signora Raoss sostiene che il principio di libertà, di autodeterminazione e di autorealizzazione come responsabilità personale siano i principi più importanti del codice deontologico: essi combaciano con i principi morali in cui crede maggiormente. Ci spiega che il senso del suo lavoro nel tempo è diventato anche il senso della sua vita: le diverse esperienze positive e anche le difficoltà incontrate nel percorso lavorativo le hanno permesso di conoscere e conoscersi meglio. L’uomo in quanto individuo con una dignità deve essere rispettato. Lei stessa ci comunica che il suo lavoro deve basarsi su questo principio cardine, convenendo che lavorare alla situazione problematica altrui significa lavorare attraverso la sicurezza acquista in se stessi. 

‘…lo dico perché credo davvero che l’uomo ha valore in se stesso, ha una dignità in sé, e, se la voglio per me, la devo volere anche per lui no…’ afferma.

 

La Signora Raoss, si premura di dare un consiglio agli aspiranti assistenti sociali. Solo comprendendo le proprie motivazioni, avendo curiosità, capacità creativa e perseverando sulla giusta strada, gli aspiranti assistenti sociali potranno realizzarsi e fornire la giusta assistenza e sicurezza. Il rapporto resta sempre tra essere umano e essere umano senza alcuna differenza, ci spiega, e proprio per questo ogni assistente deve essere a conoscenza dei propri limiti e di quelli dell’assistito senza scoraggiarsi nel caso di scarsi risultati. ‘…Voglio dire, non è che stiamo parlando di santi e di eroi ma di esseri umani…’. 

Concludendo, le sensazioni che l’esperienza assistenziale ha trasmesso all’intervistata traducono la dedizione, l’amore, il tempo, la fatica e l’impegno che ha speso per questa professione. I suoi ricordi ci spiegano come la solidarietà, la passione e la perseveranza debbano sempre governare in un ambito di lavoro come questo. I rapporti che conserva nelle sue più belle e tragiche memorie attraversano innumerevoli tipologie di emozioni diverse che rendono il suo percorso lavorativo e, insieme a questo, il suo percorso di vita unico e soddisfacente. 

‘Ma forse proprio grazie alle esperienze, ho capito che delle volte, l’importante è esserci non tanto tutto quello che fai, ma esserci in quel momento. Anche fare solo una cosa ma farla con chiarezza e, come dire, in modo che l’altro abbia chiaro con chi ha a che fare e con chi interloquisce. Quindi che ci sia davvero un’andata e un ritorno nella comunicazione.’  conclude Giuliana Raoss.

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