Giovanni Odorizzi

 

Analisi Videointervista a cura di Alessandro Monari (12.02.2019)

 

Nel corso dell’intervista il Signor Odorizzi mantiene un tono di voce flebile e pacato che lascia presagire una delicatezza peculiare della sua persona. Non vediamo particolari gesticolazioni durante il suo racconto e proprio per questo è semplice mantenere alta l’attenzione nei confronti delle ‘espressioni corporee’. Si può percepire dal modo in cui descrive gli eventi, una finezza educata  che porta l’ascoltatore a seguire la narrazione con particolare tranquillità ed interesse. Diverse sono le situazioni in cui l’emotività di Odorizzi sembra essere messa a nudo. Le emozioni sono espresse in modo particolare dalle espressioni facciali che vediamo cambiare a seconda della domanda che gli si pone. Grazie a queste possiamo comprendere quanto impegno e dedizione abbia nei confronti della sua professione. Una particolarità dell’intervista è quella che sembra essere la distanza tra il ruolo che ricopre (Direttore del villaggio) e il suo modo di essere, il quale forse, riesce a conferirgli un’umanità necessaria in ambito sociale.

 

Storia ed evoluzione del Villaggio del fanciullo

Parla Giovanni Odorizzi, direttore del SOS di Trento, anche chiamato Villaggio del Fanciullo. 

Una domanda doverosa e chiarificatrice apre l’intervista permettendoci di comprendere cos’è e come è nato il Villaggio che dirige. 

La panoramica storica introdotta dall’intervistato segue l’evoluzione temporale del villaggio dal 1963 anno nel quale il SOS è stato costituito in Trentino. La solida base su cui si struttura l’odierno Villaggio del Fanciullo poggia sul modello ideato da un umanista austriaco: Hermann Gmeiner.

Reduce della seconda guerra mondiale, Gmeiner riflette sulla condizione dei bambini rimasti orfani a causa del conflitto e di coloro etichettati come illegittimi, ovvero, figli di violenze sessuali ai danni delle donne. Lo stesso Gmeiner, racconta Odorizzi, rimase orfano di madre e venne cresciuto dalla sorella maggiore. In quel periodo, la situazione in cui giacevano numerosi bambini era gestita dagli istituti addetti alla custodia di questi ultimi. Gmeiner ebbe così l’intuizione di ricreare situazioni sociali e familiari in cui i bambini non avevano la possibilità di crescere. Così, trovando luoghi adatti in cui si potesse rendere concreta questa realtà ancora utopistica, vennero istituite alcune case famiglia. In queste case le donne, in modo volontario, potevano crescere e assistere i bambini orfani come fratelli minori nonostante tra di loro non esistesse un legame di sangue. 

Dall’idea dell’austriaco Hermann Gmeiner, nel ’63 anche il Trentino adottò questo tipo di approccio per le situazioni difficili in cui erano costretti a vivere i bambini Italiani. 

Nacque così, il Villaggio del Fanciullo di Trento. 

Riconosciamo che la volontà del Signor Odorizzi è quella di dare valore alla nascita di queste piccole realtà, fornendo in modo chiaro e semplice aneddoti storici importanti per il progresso dell’assistenza sociale Italiana. 

La profonda conoscenza del Villaggio del Fanciullo fonda le sue radici nell’infanzia di Odorizzi, che ci racconta di aver vissuto nel quartiere limitrofo a quello che ospitava il villaggio stesso. Capiamo dalle sue parole comprendiamo che l’ambiente giocò un ruolo fondamentale per il contatto con questa nuova realtà. Per l’intervistato gli ospiti del villaggio divennero amici e coetanei con cui giocare, bambini come lui. 

Queste furono le ragioni per cui Odorizzi si avvicinò con piacere e naturalezza al villaggio anche negli anni successivi, precisamente nel momento in cui dovette scegliere quale passo lo avrebbe avvicinato al suo futuro. ‘…ho dovuto fare la scelta: servizio militare o l’obiezione di coscienza e quindi servizio civile; ho fatto la scelta per il servizio civile’ dice.

 

Il servizio civile al Villaggio del Fanciullo si tradusse in un ruolo attivo al suo interno. Negli anni successivi, ci racconta, il direttore gli propose una nuova esperienza; ovvero la convivenza con i ragazzi ormai adolescenti in appartamenti dedicati. Questa richiesta aveva l’obiettivo di far vivere ai ragazzi il loro percorso in un ambiente in cui si percepiva una realtà di tipo familiare, attraverso l’aiuto reciproco e la vicinanza. 

L’impegno e la dedizione dedicati ai ragazzi porta Odorizzi ad essere incaricato, prima, come coordinatore pedagogico ed infine come direttore generale del Villaggio del Fanciullo. Nelle sue parole leggiamo la soddisfazione e l’assidua passione per questo microcosmo fondato sull’assistenza reciproca; un trampolino di lancio verso il mondo. 

L’intervista continua con una descrizione dei diversi cambiamenti in termini di organizzazione all’interno del villaggio e non. In questa piccola e importante realtà, ci sottolinea l’intervistato, prevale il concetto di unione e di famiglia; questo era soprattutto dovuto alle donne presenti in struttura. Coloro che frequentano il Villaggio del Fanciullo, sia in passato che oggi, mirano a cooperare creando una situazione sociale adattiva alla crescita e alla maturazione dei ragazzi assistiti. La prospettiva che ci fornisce Odorizzi è peculiare, poiché la sua crescita assieme a quella del villaggio traccia un’evoluzione dell’approccio alla sicurezza dei ragazzi che segue i cambiamenti dell’intera società. Il tempo, ad esempio, ha permesso alle figure che compongono l’équipe di operatori (compreso lui stesso) di acquisire professionalità; caratteristica fondamentale per operare in un campo così vasto e complicato. 

Tornando ai cambiamenti relativi alla situazione sociale, durante l’intervista, una lunga e sentita riflessione di Odorizzi ci porta a ragionare sulla quantità, la qualità e la velocità del cambiamento della società in cui viviamo e, assieme a quest’ultima, sull’importanza del servizio sociale. 

‘È cambiata la società, ad esempio, dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi sociali: se andiamo appunto indietro nel tempo, erano ad esempio quantitativamente molto meno significativi di quello che non siano oggi’  afferma  ‘..e le assistenti sociali si trovavano incaricate un po’ di tutte le situazioni, magari di territori ampi e di tutte le situazioni che si presentavano su questi territori, quindi a loro volta magari nemmeno con una specifica specializzazione…così era.’ conclude

   

A differenza della situazione sopra descritta, ad oggi, realtà come quella del villaggio di Odorizzi vantano di un’organizzazione più consapevole del loro obiettivo: prendersi carico della crescita dei ragazzi allontanati dalla famiglia.

Come fanno intendere le sue parole, la famiglia è il centro della vita di un bambino e spesso si possono individuare situazioni che al suo interno ne rendono difficoltoso lo sviluppo. Le relazioni tra i genitori e la frammentarietà della coppia può rendere aspro e diseducativo il percorso verso la costruzione del futuro di un ragazzo in balìa della scissione familiare. 

Ad esempio, un bambino tolto alla madre, un tempo veniva allontanato per sempre. Al contrario nella realtà odierna le organizzazioni di servizio sociale si prendono carico del bambino in pericolo inserendolo in una situazione che gli possa permettere di crescere in serenità, riacquisendo il senso di unità e famiglia. Odorizzi si premura di sottolineare che, fortunatamente, il “per sempre” citato in precedenza oggi non sussiste più. La famiglia biologica del bambino accudito al villaggio può fargli visita ogni settimana, rispettando regole formali che disciplinano i comportamenti di tutti i componenti del nucleo familiare.

La testimonianza del Signor Odorizzi comunica soddisfazione e gioia per i suddetti cambiamenti che rispettano l’essere umano, aumentando il valore del grande progetto di cui è direttore.

Continuando a parlare di modifica del sistema-servizio sociale, nell’intervista Odorizzi arriva a parlare della legge Nr.184 del 1983, l’Istituto dell’Affidamento. L’approvazione di questo istituto aveva l’obiettivo di porre rimedio a situazioni di temporanea inabilità da parte del genitore

nell’accudire o esercitare il suo dovere sul figlio. Questo passo mosso dallo stato Italiano permette alle famiglie di poter usufruire del supporto di organizzazioni che mirano alla salvaguardia dei loro figli; e fu oltretutto ‘un cambiamento importante’, afferma l’intervistato. 

È interessante come il racconto si incentri poi su una parola chiave legata all’azione delle politiche sociali: prevenzione

La prevenzione attuata nei confronti di famiglie bisognose permette alle istituzioni e alle organizzazioni come quella del villaggio di evitare che la famiglia in difficoltà “affondi” del tutto portando con sé anche la crescita dei figli. 

Per prevenire, appunto, queste gravi conseguenze le varie organizzazioni politico-sociali agiscono perché le famiglie non si trovino, ad esempio, in situazioni di disoccupazione che permetterebbero di far crollare un assetto familiare già fragile. 

Le politiche sociali, esercitano dunque azioni a scopo preventivo che salvaguardano la sicurezza dei bambini e dei genitori stessi. 

Un altro aspetto legato alle politiche sociali è che appunto a partire dagli anni Settanta addirittura con Basaglia… è stata introdotta la deistituzionalizzazione, quindi il discorso che le situazioni di difficoltà non vanno affrontate chiudendo le persone in contesti autosufficienti come potevano essere i manicomi…’. 

Odorizzi ci offre un altro episodio esemplare di rivoluzione e cambiamento; quello della deistituzionalizzazione. Una rivoluzione a favore del servizio e della sicurezza sociale che sottolinea ancora una volta come lo sviluppo e il passare del tempo abbiano portato ad una comprensione della persona come individuo, e in quando tale, bisognoso di rispetto. 

Comprendiamo così che il cambiamento all’interno dell’ambiente del servizio sociale e nella società stessa è sempre stato presente, dinamico e volto all’abolizione dello stereotipo e della stigmatizzazione sociale. 

I problemi relativi alla sicurezza dell’individuo sono problemi della società stessa, e per questo quest’ultima non può evitare di considerarli e arginarli mirando al benessere sociale: ‘…la normalità sociale che è normalità ma che è anche fragilità.’

 

Capiamo grazie alle parole di Odorizzi che l’idea di un’organizzazione come la sua può rimanere valida solamente attraverso il continuo adattamento ai cambiamenti sociali, alle risposte che un servizio fornito alla società può dare agli individui che lo accolgono. Il villaggio non può essere una macchina che lavora per se stessa secondo un modello prestabilito; bensì deve essere una risposta alla continua evoluzione del “sentire” della società in cui esiste. 

Lo stesso Gmeiner, ci dice, sosteneva che le organizzazioni come questa non potessero vivere di vita propria e dovessero sempre attingere dai feedback della società in cui cercavano di diffondere sicurezza.

 

Il rapporto tra l’amministrazione politica e il Villaggio del Fanciullo 

Il Signor Odorizzi ci spiega come le istituzioni politiche e l’amministrazione provinciale abbiano supportato organizzazioni di servizio sociale come quella del suo villaggio; ma allo stesso tempo riporta alcuni problemi di gestione. 

Oggi le situazioni familiari e i rapporti genitori-figli sono molto più complessi; la società in cambiamento porta inevitabilmente ad un’evoluzione delle problematiche da risolvere. 

Nel dialogo viene sottolineato come l’amministrazione politica odierna abbia tempi lunghi e deleteri per una condizione di incombente disagio. Tutto questo, secondo Odorizzi, si potrebbe risolvere attraverso azioni pragmatiche nei confronti delle situazioni che vengono sottoposte ai diversi enti collaboratori:

‘…in questo momento sarebbe importante un contributo molto più puntuale, mi vien da dire… perché oggi le intenzioni non bastano più, cioè non basta avere l’idea che le cose dovrebbero andare così se poi non si dice chi fa cosa.’ afferma.

È chiaro ed evidente che la collaborazione tra istituzioni, enti locali e lo stesso villaggio potrebbe essere fondamentale nella messa in atto di piani specifici per famiglie bisognose di sostegno, con il dovuto rispetto dei diritti dei minori a loro carico.

Il signor Odorizzi continua descrivendo bene il rafforzamento interno dato ai servizi sociali da parte delle istituzioni che permette di considerare il servizio un vero e proprio organismo legato all’amministrazione della Provincia. 

‘Oggi i servizi sociali sono gestiti da persone con una professionalità dichiarata ed esplicita, sono dei collettori di reti quindi effettivamente cercano di sviluppare risposte anche sul territorio.’ ribadisce.

 

Da queste affermazioni possiamo dedurre che ad oggi il Servizio Sociale è supportato dalla Provincia e non più considerato di marginale importanza come poteva esserlo anni prima. 

‘Poi la partita sono le persone però, e le persone sono fatte di gioia, di soddisfazione ma sono fatte anche di vissuti dolorosi, sono fatti di stagioni di rabbia eccetera e tutto questo non è semplice.’  dice ‘non è semplice né cercar di trovare la soluzione al problema ma men che meno è facile avere la responsabilità che abbiamo nei confronti di ciascuna di queste persone qua. Quindi è un po’ banale ma direi venite e stateci dentro e vedete.’

Parole forse severe ma molto importanti e sentite. Vediamo qui che l’atteggiamento nei confronti delle istituzioni cambia. Il lavoro di squadra, di cui si parla spesso, tra Provincia e assistenza sociale non è considerato totalmente di supporto e tantomeno diretto o preciso. A questo punto, notiamo in modo chiaro la sua voglia di poter connettere le due realtà in onore e in favore della sicurezza sociale.

L’Europa stessa, dice Odorizzi, ha una visione ancora più innovativa e aggiornata della figura dell’assistente sociale. L’incaricato alla sicurezza sociale non ha il mero obiettivo di assistenza ma coinvolge le persone a frequentare le organizzazioni, le case di riposo o le comunità di ragazzi orfani. Questo per integrare gli assistiti nell’ambiente sociale facendo sentire loro la vicinanza della comunità, diminuendo la distanza che possono percepire  dal mondo esterno. Una realtà idilliaca che anche l’Italia sta cercando di riproporre ai propri cittadini. 

Dal discorso riguardo al rapporto con le amministrazioni e la politica, possiamo intendere che la posizione del Signor Odorizzi è neutrale ma speranzosa. È fiducioso in nuovi cambiamenti, nuove rivoluzioni che possano avvicinare la sua realtà e il nostro paese ad un assistenzialismo concreto e reintegrativo.

 

Le Emozioni nel Villaggio del Fanciullo 

Sono tante le emozioni che traspaiono dalle parole dell’intervistato. La sua vita dedicata ai ragazzi e al villaggio è un chiaro esempio di come la passione e l’impegno possano portare a crescere e a credere nell’individuo come fruitore di vita vera. 

Concludendo Odorizzi parla del rapporto con una ragazza assistita al villaggio. Una bambina diventata adulta, con cui lui stesso ha instaurato un rapporto sincero di reciproca fiducia. Possiamo dire che l’amicizia e l’aiuto, in questo caso, hanno giocato un ruolo importante per il reinserimento nella società della stessa ragazza fragile e indifesa che entrò tempo prima a far parte del villaggio. 

L’invito alla discussione della tesi di laurea, non a caso, in Scienze dell’Educazione che la ragazza ha inviato ad Odorizzi sancisce la loro “vittoria” nella vita. È in rapporti come questi che l’assistente sociale ricava la motivazione di perseverare nel suo ruolo e l’assistito impara a credere in se stesso prendendo confidenza con il mondo vero.

Un messaggio che ci lascia l’intervista del direttore del SOS di Trento riguarda quella che dovrebbe essere la vera essenza del ruolo dell’assistente sociale divenuto poi l’obiettivo principale del Villaggio del Fanciullo:

“C’è sempre un qualche cosa di più, di diverso, che è l’autenticità ed è quella che da un certo punto di vista andrebbe riconosciuta, salvaguardata e possibilmente sostenuta e promossa.” conclude. 

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