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Charles Stewart Loch

L’uomo che creò la COS – Charity Organisation Society

Charles Stewart Loch (1849-1923)

 

Le finalità principali della Charity Organisation Society1, costituita a Londra nel 1869, erano contenute nella sua titolazione. Tramite l’organizzazione del soccorso beneficenziale» basato su principi razionali, la Society sperava di introdurre ordine nel caos delle organizzazioni filantropiche londinesi e di ridurre l’incidenza del pauperismo. Attraverso «la repressione della mendicità», e quindi affrontando esclusivamente i casi che meritavano di essere aiutati, si mirava non solo a ridurre le spese non necessarie, ma a utilizzare la beneficenza come strumento per accrescere il livello morale degli individui e della società. La beneficenza erogata in maniera indiscriminata e senza riflessione incentivava comportamenti immorali, abituava i poveri a essere imprevidenti e a contare sulla generosità altrui. I filantropi illuminati che avevano dato vita alla COS — Henry Solly2 e Octavia Hill, fra i più noti — ritenevano che ciò fosse la radice principale della povertà e del pauperismo. La vera beneficenza, amministrata in maniera razionale, poteva favorire l’indipendenza, rafforzare il carattere e aiutare a salvaguardare la famiglia come unità fondamentale della società.

Pur non essendo tra i primi fondatori della COS, Charles Stewart Loch viene sempre associato con questo organismo, poiché fu segretario del Consiglio direttivo (di fatto, il direttore) per 38 anni, dal 1875 al 1913, fin quando le sue condizioni di salute non lo costrinsero a ritirarsi. Charles Loch condivide così il destino di molti uomini che, venendo completamente identificati con la causa da essi servita, sono ricordati solo per un particolare aspetto della loro vita e della loro personalità. E se, per qualche motivo, la causa cui si erano votati viene considerata non del tutto limpida, o superata, o di poco valore, anche l’uomo soffre l’identica sorte. Loch e la COS sono stati considerati la stessa cosa: quando il Times stilò il necrologio di Loch, nel 1923, sintetizzò la sua opera con queste parole: «Ha creato la COS; egli era la COS».3 Durante gli anni della sua permanenza al vertice di questo organismo, nel periodo del suo massimo fulgore, Loch era come un magnete che attirava filantropi e operatori sociali da ogni angolo del Regno Unito. Anche dall’estero si rivolgevano a lui per avere pareri e consigli. Come scrisse Mary Richmond, «non c’è alcun assistente sociale che in qualche modo non gli sia debitore» (Colcord, 1930, p. 559).

È un fatto che a lui, più che a qualunque altro, va ascritta la concezione assistenziale elaborata dalla COS, alla quale egli cercò di convertire il Paese per un’intera generazione.

Oggi, a motivo dei profondi mutamenti socio-economici e di pensiero che sono intervenuti, molte delle idee di Loch appaiono superate o, comunque, di scarsa importanza. Ad esempio la sua avversione verso uno schema pubblico di pensioni di anzianità — di cui diremo — suona bizzarra alle nostre orecchie ormai assuefatte alle politiche di welfare. La sua espressione favorita era «charity», cioè beneficenza4 una volta dichiarò che non l’avrebbe barattata in cambio di una dozzina di servizi sociali. Il termine «beneficenza» ha assunto oggi connotazioni considerate sgradevoli da molti, ma tuttavia c’è molta saggezza negli scritti di Loch. Essi rappresentano i fondamenti teorici sui quali è stato costruito il primo lavoro sociale.

 

Loch e la religione dell’umanità

Charles Stewart Loch5 era nato in India il 4 settembre 1849. Il padre George era un funzionario della East India Company. La madre, Louisa Gordon, morì mettendolo alla luce, così il piccolo fu portato in Inghilterra assieme al fratello maggiore ed educato da una coppia di amici di famiglia. Nel 1869 intraprese a Oxford studi di lettere classiche e storia e si diplomò nel 1873. Dopo aver brevemente accarezzato l’idea di dedicarsi al ministero religioso, rinunciò a proseguire gli studi per divenire avvocato, impiegandosi come segretario presso il Royal College of Surgeons di Londra. Nel contempo iniziò un’azione di volontariato in un distretto della COS, che era stata fondata qualche anno prima. Nel 1875, quando rimase scoperto il posto di segretario, venne proposto a Loch di ricoprirlo. Pur sorpreso dalla richiesta, egli aderì, anche per il legame di amicizia con Sophia Emma Peters, uri assistente di Octavia Hill che in seguito diverrà sua moglie.

Le motivazioni che portarono Loch a identificarsi con il Movimento della Charity Organisation piuttosto che proseguire gli studi da avvocato erano ben comprese e condivise da molti dei suoi contemporanei, impegnati in questo e altri simili campi della filantropia.

Strenuamente idealista, Loch si era guardato attorno per cercare un lavoro che non gli garantisse soltanto un reddito, ma impegnasse la sua mente e il suo cuore permettendogli di utilizzare pienamente i suoi talenti e la sua energia. Non sorprende, quindi, che abbia indirizzato la sua scelta verso la COS. La sua coscienza sociale era stata ridestata soprattutto dal senso di colpa che provava nel considerare l’esistenza misera e senza futuro di molti suoi concittadini. Insieme, vi era il desiderio di collaborare con chi agiva per «raddrizzare» il mondo. Ancora più importante era il suo forte istinto di fare qualcosa di utile per gli altri. La COS dovette sembrargli lo strumento adatto per servire non Dio, ma i suoi simili. In ciò incarnava bene lo spirito del suo tempo. Se fosse vissuto cinquantanni prima, la sua scelta sarebbe stata probabilmente il ministero sacerdotale. Ma in quel periodo, nel mezzo dell’epoca vittoriana, lo slancio altruistico si realizzava nella «religione delfumanità», come la chiamava Beatrice Webb, che invitava ad aiutare i poveri amministrando l’assistenza, piuttosto che svolgendo attività pastorale. Così, infatti, Charles Loch spiegava la sua scelta:

Se mi venisse chiesto perché aderii alla Society, dovrei rispondere che attraverso la sua opera e la sua diffusione speravo che un giorno si sarebbe formata un larga associazione di persone, provenienti da tutte le chiese e da tutte le classi, che pur divise da molti motivi avrebbero trovato nella beneficenza un fine comune e una nuova unità. Questo mi sembrava potesse essere una cosa di valore. Un organismo di questo tipo, pensavo, avrebbe potuto fare più del parlamento, più della predicazione, più dei libri o dei pamphlet. In effetti questi, senza l’altra, mi sembrava potessero produrre ben scarsi risultati. Un organismo del genere, invece, avrebbe portato nella lotta per la rimozione e la prevenzione dei mali sociali una forza combinata, capace di superare in peso e influenza qualunque altra azione esistente. Avrebbe potuto rendere più efficace la legislazione, l’avrebbe potuta rafforzare. Oltre a ciò, l’uso di strumenti di influenza di ben più vasta portata avrebbe rinnovato e disciplinato la vita della gente grazie a una più nobile, più devota e più scientifica beneficenza religiosa.

Si sarebbero potute indirizzare a sostegno della beneficenza tutte le più nuove conoscenze disponibili. Si sarebbe potuto disporre di una grande armata di operatori volontari, gradualmente anche ben formati. Questo avrebbe potuto aiutarci a realizzare nella società la religione della carità, senza il settarismo della religione. (Loch, 1904, pp. 67-68)

Quindi Charles Loch non va descritto come un uomo di chiesa ortodosso, praticante, quanto piuttosto come un cristiano naturale che credeva nell’amore di Dio presente in ogni cosa e nell’immortalità dell’anima. A ciò univa una ferma convinzione nel progresso e nelle possibilità di realizzazione dell’essere umano. I due aspetti erano assolutamente congruenti perché la sua religiosità «positiva» non si esprimeva in atti di romantica solidarietà, quanto in una metodica assistenziale che puntava alla responsabilizzazione e all’indipendenza dell’individuo. In questo gli sembrava che la Charity potesse costituire un obiettivo comune e un elemento unificante della società capace di rimuovere e prevenire i mali sociali, uno strumento che rafforzava e completava l’azione legislativa e aiutava a realizzare questa «religione della carità».

 

La «teoria della carità»

Le motivazioni che spinsero Loch a identificarsi con la Charity Organisation erano quindi: la brama per l’azione, che lenisse il senso di colpa originato dalla consapevolezza che molti dei suoi concittadini conducevano un’esistenza difficile e disperata; il desiderio di servire i suoi simili e la convinzione che questo potesse essere fatto meglio al di fuori delle varie Chiese,anche solo per sfuggire agli orrori del settarismo.

Rafforzato da queste convinzioni, Loch si accinse a diffondere i principi della Charity Organisation. Affermava:

“C’è una teoria della beneficenza, una teoria che è come la mappa di un Paese […] attraverso il quale non possiamo viaggiare se non abbiamo imparato dove sono le sue colline e le sue vallate, dove sono i suoi sentieri e i suoi passi. (Cit. in Woodroofe, 1962, p. 32)”

Nei rapporti annuali della COS, in scritti firmati e testi pubblicati anonimi, nella Rivista della COS, nelle lettere al Times, in articoli ospitati da altre riviste andava esponendo i principi della beneficenza con fervore evangelico. Era così veemente che ancora oggi alcuni suoi scritti sprizzano rore. Andava in bestia quando sentiva dire che la COS doveva essere soltanto un organismo di soccorso, o che doveva impegnarsi principalmente nel prevenire le frodi («solo un utile cane da guardia che abbaia ai ladri», schiumava Loch) o — ancora — che le persone morivano di fame mentre gli operatori della COS svolgevano le inchieste. In momenti più calmi, però, la sua esposizione della filosofia della beneficenza era chiara ed eloquente.

Loch partiva dalla premessa che l’individuo doveva essere previdente nei confronti di ciò che egli chiamava «contingenze ordinarie della vita». Se il singolo non era in grado di mantenere se stesso e la sua famiglia, ciò andava anche a detrimento della società. La comunità diveniva più sterile nella sua capacità produttiva e l’individuo perdeva in dirittura morale.

L’individuo — spiegava Loch — è creativo e produttivo. Se smette di creare e di produrre, di norma gli tocca soccombere, a meno che qualcuno lo sostituisca nella deficienza che risulta dalla sua aridità di produzione. In questo caso egli diventa, socialmente parlando, uno schiavo, un peso economico negativo. Il trasferimento della responsabilità di mantenimento dall’individuo allo Stato sterilizza il potere produttivo della comunità nel suo complesso e impone altresì allo Stato […] un carico così oneroso […] da depauperarlo notevolmente, se non da rovinarlo del tutto. Ed è anche demoralizzante per l’individuo. Nessun sistema sociale di riconoscimenti e punizioni […] potrà sostituire l’influenza della legge sociale per la quale l’energia, l’onestà e la competenza hanno il loro proprio riconoscimento. Il fallimento in queste cose comporta delle naturali sanzioni. (Loch, 1895, pp. 698-699)

Con Thomas Chalmers, Loch riteneva che la società fosse un organismo e che la famiglia, come sua unità fondamentale, a un tempo rafforzava ed era rafforzata dalla comunità. La «charity» era Io strumento mediante il quale la famiglia e la società mantenevano le proprie caratteristiche. L’espressione «charity», con l’aggiunta dell’aggettivo «organizzata» o «scientifica», diventava sinonimo di intervento assistenziale appropriato. La beneficenza […] avrebbe cercato di trasformare il mondo mediante la trasformazione della volontà e del mondo interiore nell’individuo e nella società. Avrebbe intensificato lo spirito e il sentimento di appartenenza nella società e avrebbe mirato a migliorare le condizioni sociali come scienza che rende chiare le linee di riforma che devono essere perseguite. (Loch, 1903, p. 886)

Questo avveniva offrendo amicizia e disponibilità: charìs e agape, benevolenza e compartecipazione, piuttosto che elemosyne, obolo dato in virtù di un obbligo religioso.

[Ancora, la] «charity» [era] «amore che opera attraverso l’individuo e la vita sociale». Contiene al suo interno il fervore della religione e, accompagnata da uno scopo e da una disciplina, diventa fonte di bene comune. La COS avrebbe dovuto essere «la grande Compagnia della carità, l’oriente assieme all’occidente, il ricco con il povero, la generazione anziana con quella giovane». (Loch Mowat, 1961, p. 71)

 

Le cause della povertà e i modi di rimuoverla

Loch Mowat afferma che, come molti della sua generazione, Loch era un uomo dai vari interessi: amava disegnare e la sua corrispondenza, specialmente di viaggio, era adornata da gradevoli schizzi e vivide descrizioni dei luoghi e delle persone incontrate. Amava la musica — possedeva una bella voce — e la poesia anche se, ovviamente, la maggior parte delle sue letture era collegata all’attività professionale. A fianco dell’attività amministrativa, Loch coltivò quella pubblicistica: contribuì regolarmente a Economie Journal e stese, sia pure in anonimo, rapporti e pubblicazioni ufficiali della COS. La maggior parte del suo lavoro pubblicistico si estrinseca in rapporti che videro la luce durante il suo segretariato. Il tono che li caratterizzava era quello tipico da documenti ufficiali: non a caso erano pubblicati dalla stessa casa editrice che stampava gli atti del governo. In questi rapporti molto minuziosi redatti su specifici temi (come il problema dei senza tetto oppure l’assistenza scolastica o le mense popolari) si producevano dati statistici, testimonianze, storie di caso che evidenziavano il valore del metodo individuale rispetto a erogazioni assistenziali indiscriminate.

L’influenza di Loch sulla COS derivava dalla sua capacità propositiva. Il suo ruolo lo poneva in una situazione strategica: era lui a definire l’ordine del giorno del consiglio direttivo e delle numerose commissioni. Era ancora lui che stendeva i verbali delle sedute. La sua influenza si manifestava in maniera ancora superiore nel formulare e illustrare gli ideali della COS nell’ambito delle pubblicazioni, dei periodici, dei rapporti annuali della Società. Questi scritti, insieme ai suoi interventi come segretario della COS, lo resero un po’ alla volta una figura pubblica. Così era spesso invitato a far parte di Comitati scientifici e di studio anche di livello elevato, come la Commissione Reale nominata nel 1905 per la riforma della Poor law. Gli accesi dibattiti che vedevano ai due estremi la figura di Loch e quella di Beatrice Webb venivano riferiti dalla stampa quotidiana e messi a disposizione del grande pubblico.

La diffusione del modello organizzativo della COS a livello internazionale lo resero un personaggio apprezzato sia negli Stati Uniti che in Francia. Una sua relazione al Congrès International d’Assistance di Parigi del 1889 rese popolare il sistema assistenziale della COS e ne stimolò l’imitazione sul continente.

Il suo pensiero è rinvenibile soprattutto in tre monografie: la prima, che riprendeva il suo rapporto alla Conferenza di Parigi del 1889 sotto il titolo Charity Organisation, è del 1890; la seconda, Charity and Social Life (1910), recupera ed espande il suo saggio Charity and Charities, pubblicato nell’edizione del 1903 àc\\’ Encyclopaedia Britannica; la terza, pubblicata subito dopo la sua morte, raccoglie alcuni suoi interventi sotto il titolo A Great Ideal and Its Champion (1923).

Loch condivise e rielaborò le analisi della povertà e della beneficenza proposte dalla COS fin dagli inizi. La povertà era principalmente il risultato di un fallimento morale e l’assistenza indiscriminata contribuiva a tale fallimento o lo aggravava. La Poor law era ovviamente molto criticata da Loch: la considerava «un premio alla dipendenza e un ostacolo costante alla sobrietà e all’autosufficienza» (Loch, 1903, p. 885), a meno che non venisse applicata in maniera assolutamente rigida. Nel rapporto annuale della COS del 1886 troviamo un lungo saggio sul pauperismo e le sue cause.

Il pauperismo non è una povertà di possesso, ma una povertà e una degradazione di vita, un’abituale dipendenza dagli altri dovuta alla mancanza di autocontrollo, di previdenza e di quelle virtù che ne sono alla base. L’uomo che, in questo senso, è povero, è colui che ha perso una parte della sua umanità e che non vuole o non può agire da uomo in questo mondo. La donna povera è quella che ha perso una parte della sua femminilità, nella casa e nella famiglia. (COS, 1886, p. 2)

Questo tipo di pauperismo era incoraggiato da quella beneficenza che largheggiava nell’elargire pasti, carbone o denaro, favorendo così chi preferiva vivere lavorando di tanto in tanto o alle spalle della propria moglie. Loch ammetteva che il pauperismo poteva avere anche altre cause, oltre all’elemosina indiscriminata: debolezza di carattere, vizio, malattia, scarsa salute, mancanza di lavoro o di competenze professionali, impossibilità a risparmiare per la vecchiaia. Tra queste, il carattere era l’elemento più importante.

Per prevenire danni peggiori, la beneficenza deve avere come ulteriore obiettivo quello di preservare e sviluppare l’umanità e la femminilità degli individui e la loro autosufficienza, all’interno della famiglia e per mezzo di essa. Per autosufficienza s’intende il riuscire a farcela da se stessi nel corso della vita, affrontandone le ordinarie contingenze: malattia, vedovanza, vecchiaia. (Loch, 1903, pp. 885-886)

Questa insistenza sull’indipendenza e sulla condanna di molte forme di aiuto derivava parzialmente dall’analisi di Loch dell’«economia della beneficenza». I salari possono bastare se spesi in modo adeguato (per esempio astenendosi dall’alcol). Sussidiare i bassi salari impediva l’azione del mercato, che altrimenti avrebbe favorito il loro innalzamento, e la garanzia di una pensione di vecchiaia avrebbe avuto lo stesso effetto, scoraggiando il risparmio.

Solo la necessità insegna alla maggior parte degli uomini, specialmente ai deboli, ciò che nella vita fa la differenza principale: o si è parsimoniosi, o non c’è alcuna salvezza nel futuro. (Loch, 1903, pp. 886)

Leggendo i classici era stato molto impressionato da quella che riteneva fosse stata una delle cause del declino di Roma: la Legge Clodia, che aveva reso un diritto ottenere gratuitamente pane, carne e olio, aveva favorito il circolo vizioso tra chi, fidando su questo diritto, preferiva non lavorare e gli amministratori che non si tiravano indietro per paura di perdere voti. Loch temeva che anche nell’Inghilterra dei suoi tempi, se i poveri abili che venivano assistiti avessero conservato il loro diritto di voto, si sarebbe creata una situazione analoga. C’era anche un altro motivo che lo portava a insistere sull’autosufficienza dei cittadini:

“[…] il pauperismo è il nemico sociale dello Stato moderno. Lo Stato ha bisogno di cittadini, non può permettersi di avere degli esclusi di fatto, dei cittadini che non sono cittadini. (Cit. in Loch Mowat, 1961, p. 70)”

Questa filosofia individualista si combina, non a caso, con un assoluto distanziamento da ogni tipo di socialismo. Criticando il progetto di Charles Booth per le pensioni di vecchiaia (1892), che prevedeva il trasferimento di 12 milioni di sterline dai ricchi ai poveri, Loch scriveva:

“Solo coloro che adottano una visione socialista della società e che sperano sia lo Stato, anziché i privati, a detenere le ricchezze, troveranno soddisfacente una simile riforma. Per loro questa sarebbe un trampolino per completare la divisione della società. (Cit. in Loch Mowat, 1961, p. 70)”

Ancora, nel saggio dell’Encyclopaedia britannica in cui contrastava l’intervento della beneficenza (che trasforma l’individuo) affermava:

“Rispetto alla carità, la posizione [socialista] sembra escludere dalla vita l’elemento etico e minaccia primariamente le persone come esseri umani. Sembra altresì escludere la forza delle motivazioni che emergono dall’autodeterminazione. (Loch, 1903, p. 886)”

Il rigore di questa dottrina era mitigato da altre parti del pensiero di Loch. La beneficenza doveva operare assieme alla conoscenza:

“Ha bisogno di una disciplina sociale; agisce attraverso la simpatia; dipende dalla scienza. La sua prima preoccupazione è quella di comprendere e di trattare con reverenza ciò che deriva dalla comprensione, gli elementi crescenti e dinamici dai quali è formata la società: l’individuo e la famiglia, i gruppi che compongono la comunità e la comunità stessa. La beneficenza è una «scienza basata sui principi sociali e l’osservazione. Non dare elemosine ma mantenere vitale la forza efficace della famiglia è il suo primo problema. (Loch, 1903, p. 885)”

Loch Mowat, autore di un’accurata e critica ricostruzione della COS inglese (1961), propone un’interessante analogia tra la prospettiva di Loch e quella del suo amico filosofo Bernard Bosanquet,8 che in seguito divenne anch’egli membro del direttivo della COS. Bosanquet era una sorta di hegeliano di destra. Nella sua opera Philosophical Theory ofthe State si afferma che scopo finale della società, dello Stato e dell’individuo era la realizzazione della vita migliore; tuttavia, lo Stato poteva solo limitarsi ad agevolarla e la sua azione in tal senso avrebbe avuto risultati positivi soltanto con una parallela propensione ad agire da parte dei singoli individui. Dunque, l’azione pubblica per assicurare alloggi migliori, salari più elevati e istruzione non avrebbe condotto a un miglior benessere a meno che i fatti materiali non fossero accompagnati «da mente e volontà». Così, il collocare una famiglia in una abitazione più salubre e più comoda non significava, di per sé, che la vita di quella famiglia diventasse automaticamente migliore, a meno che non ci fosse una vita migliore che agiva per esprimersi da sé e le cattive condizioni alloggiative da rimuovere fossero l’ostacolo che la limitava.

L’assistenza ai disabili e il social work ospedaliero

Oltre alle tradizionali categorie assistenziali, la riflessione di Loch si concentrò sull’ambito dei minori e adulti disabili fisici e psichici, per i quali fino ad allora non erano previsti interventi specifici. Una commissione istituita dalla COS nel 1891 produsse due pubblicazioni in cui si descrivevano cause e caratteristiche del ritardo mentale e venivano esaminati possibili metodi di istruzione e assistenza. Venivano proposte scuole speciali e istituti residenziali a carico della collettività, liberi dallo stigma della pauperizzazione che caratterizzava tutti gli interventi sotto l’egida della Poor law.

Nel 1904 il Governo nominò una Commissione Reale per l’assistenza ai ritardati mentali della quale venne chiamato a far parte anche Loch. Nel rapporto di questa commissione, pubblicato quattro anni dopo, si raccomandava che la protezione e la supervisione di tutte le persone con deficienze mentali fosse demandata a un apposito organismo statale, mentre le erogazioni assistenziali e formative dovessero essere affidate alla responsabilità delle Contee. Tali proposte trovarono una parziale applicazione con una legge nel 1913.

Ciò che è sempre stato considerato come uno dei migliori interventi della COS, e una delle più creative idee di Loch, fu l’introduzione delle operatrici sociali negli ospedali. Questa iniziativa ebbe origine dalla necessità di indagare su tutte le cause che stanno dietro al bisogno della persona, necessità evidenziata dalla COS anche in relazione a interventi precedenti. Anche l’assistenza sanitaria doveva collegarsi con l’assistenza in generale, poiché i problemi da affrontare avevano delle cause comuni. Dunque, ci doveva essere collaborazione tra i diversi ambiti. L’esempio più evidente era il fatto che i poveri potevano accedere liberamente ai dispensari per ottenere i farmaci. Però non riuscivano a trarre beneficio dai medicinali, perché non avevano abbastanza da mangiare.

Il nome proposto per questo nuovo tipo di social worker, hospital almoners, derivava dalla figura dell’addetto alle ammissioni negli ospedali durante il Medio Evo. La prima di queste operatrici, Mary Stewart, fu assunta dal Royal Free Hospital il 1° ottobre 1895 e il suo salario era pagato per metà dalla COS e per metà dall’ospedale. Questo fatto è comunemente ricordato come l’inizio del servizio sociale nell’ambito sanitario.13 Tuttavia, in Gran Bretagna, per almeno un ventennio le funzioni dell’hospital almoner furono limitate a esaminare la situazione di chi chiedeva il ricovero gratuito, per verificare la sussistenza della condizione di povertà.

 

Verso un’assistenza professionale

Alla fine del secolo la COS era all’apice della sua importanza: si presentava come la «forma» prevalente di assistenza nei distretti cittadini di Londra, un’istituzione particolarmente influente sulla pubblica opinione e una guida per il movimento delle COS del mondo intero. Operava sotto la diretta protezione della regina ed era presieduta dall’Arcivescovo di Canterbury. I vertici religiosi e nobiliari del regno erano inseriti nei ranghi direttivi, assieme a personalità altamente considerate come John Ruskin, Octavia Hill, i fratelli Bosanquet, il canonico Barnett.

Loch divenne membro del Council of thè Royal Statistical Society, professore di Scienza economica e statistica al King’s College di Londra, oltre che membro della Commissione reale sugli anziani (1893-95), sui disabili mentali (come si è già detto, 1904-08) e sulla Poor law (1905-09). Nel 1896 si recò negli Stati Uniti per partecipare alla National conference of Charities and Corrections, che quell’anno si svolgeva a Grand Rapids, e visitò le istituzioni di New York, Philadelphia, Baltimora, Washington, Boston e Chicago.

Gli sviluppi impetuosi di questi anni favorirono un importante cambiamento che alterò il ruolo del volontariato nella COS, facendo emergere il lavoro sociale professionale e, di conseguenza, la necessità di formarlo. Non era più soltanto un ruolo di inchiesta e di registrazione, assegnato fin dall’inizio all’agent distrettuale: si trattava di un ruolo di intervento (casework) vero e proprio, con compiti di coordinamento e di formazione. L’Ufficio di distretto non andava più gestito con metodi e risorse volontarie, ma in modo professionale.

Nel rapporto del 1881 si afferma:

“La maggior parte delle difficoltà dei comitati di distretto deriva dalla mancanza di uomini e di donne disponibili ad impegnarsi attivamente in questa azione: l’esperienza mostra che il modo migliore per supportarli consiste nel mettere a loro disposizione funzionari a tempo pieno, esperti dei principi e dei metodi della Società e capaci di fungere da punto di riferimento per gli operatori assistenziali e di assicurare attraverso di loro l’esecuzione di tutto il casework. (COS, 1881, cit. in Loch Mowat, 1961)”

Non è un caso che la prima scuola per la formazione dei social worker fondata dalla COS nel 1903, si chiamasse «Scuola di sociologia», dato che Loch può essere considerato a buon diritto uno dei primi sociologi.

 

I tempi cambiano

Le crescenti divergenze tra la COS e altre persone interessate ai temi della povertà — la crescente impopolarità nella quale operava la COS portarono allo scontro tra il canonico Barnett e Charles Loch all’incontro del Consiglio della COS del luglio del 1895. In quella occasione Barnett lesse un intervento intitolato: Un’amichevole critica alla COS. I coniugi Barnett, Henrietta e il reverendo Samuel, erano stati in precedenza strenui sostenitori dei principi della Society: il soccorso per essere utile deve portare al rafforzamento e non all’indebolimento del carattere, scriveva il pastore nel 1884. Tuttavia, un po’ alla volta, questi aveva maturato l’idea che l’intervento dello Stato fosse indispensabile, se si volevano affrontare efficacemente il problema della disoccupazione e quello degli anziani poveri. La polemica con la COS riguardava quindi il fatto che la Society non stava al passo con i tempi. Nel 1894, in un articolo in cui si mettevano in relazione il cristianesimo e la beneficenza della COS, si lamentava che non sempre le indagini sulle cause di bisogno familiare venivano condotte nello spirito della compassione cristiana: troppo spesso gli esseri umani erano considerati dei «casi». La povertà era ancora elevata e l’assistenza era disorganizzata, come quando era stata fondata la COS. Per contro, migliaia di persone fruivano dei servizi scolastici e sanitari pubblici istituiti nel frattempo, senza sentirsi per questo demoralizzati. Perché mai ulteriori, indispensabili, interventi per i disoccupati e gli anziani avrebbero dovuto risultare degradanti? Questo si chiedeva Barnett nel suo intervento del 1895. Secondo Loch Mowat, il problema era che i principi della COS erano degenerati in dogmi e i membri del Council erano divenuti degli idolatri adoratori del risparmio [familiare] e dell’indipendenza dallo Stato. (Loch Mowat, 1961, p. 128)

La discussione non fu particolarmente accesa fino a quando Loch, decisamente arrabbiato, replicò a Barnett accusandolo di averlo attaccato personalmente, di essere un oppositore della politica della Society, una banderuola che seguiva il vento filantropico del momento e che le sue affermazioni dimostravano quanto si fosse distanziato dai collaboratori di un tempo. Per contro, Loch rivendicava i successi ottenuti dalla COS e la correttezza della sua opposizione alle pensioni statali. Tuttavia non era solo il canonico Barnett a essere critico con la Society. Alfred Marshall, durante un audizione davanti alla Commissione, affermò che i suoi membri erano «necessariamente oligarchici», si assumevano una funzione pubblica appartenendo a una classe che in passato era al governo ma al momento non era più legittimata. Anche dall’interno si evidenziava che, talvolta, le spese di gestione erano cinque volte superiori alle somme erogate. Beatrice Webb, che negli anni Ottanta collaborava con la COS fungendo da raccoglitrice di affitti per il progetto di Octavia Hill, riconosceva il valore dei principi di coinvolgimento personale, di responsabilità personale e di casework, ma criticava 1 ossessione con cui si difendeva l’idea che la miseria di massa delle grandi città crescesse principalmente, se non interamente, a causa dei sussidi indiscriminati erogati sotto forma di elemosina o secondo i dettami della Poor law. Criticava la concentrazione dell’aiuto sui cosiddetti «meritevoli», quando era estremamente difficile definire il meritevole e la classificazione per merito non aveva alcuna relazione con la classificazione per bisogno.

Commentando, a due anni di distanza, l’approvazione del National Insurance Act, Loch scriveva:

“I grandi cambiamenti nella politica nazionale che questa legislazione comporta implicano un serio cambiamento di opinione nei riguardi dei principi sociali. La paura del danno morale che la dipendenza dallo Stato può procurare sta diminuendo e con essa il dispiacere di ricevere aiuto dallo Stato […] D’altro canto il cambiamento, in qualche modo, è segno di progresso. In certi ambiti porta al desiderio di un trattamento del bisogno più differenziato e preventivo (ad esempio 1 assistenza alle madri e ai bambini, la ricerca delle cause della malattia, della malattia mentale, della dipendenza dall’alcol) […].

Questa linea di pensiero […] dà luogo a una rivoluzione sociale. Tende a porre 1 obbligo del progresso sociale in capo allo Stato, e ad assumere che lo Stato sia un legislatore preveggente, abile a guidare e gestire le persone in molte questioni di ordine privato, così come in quelle pubbliche, e possieda le risorse e la scienza necessaria per la soluzione di questi problemi intricati. (COS, 1911, pp. 2-3)”

Piuttosto che accettare questo, Loch propose, nel 1912, un passo «nuovo e tuttavia non del tutto nuovo», ossia che i Comitati Distrettuali della COS prendessero 1 iniziativa di lavorare per il miglioramento delle cattive condizioni locali in quelle aree dove la prostituzione, l’ubriachezza e il gioco d’azzardo erano più presenti chealtrove, i distretti dove il sovraffollamento, l’alta mortalità infantile, i tassi elevati di tubercolosi erano segno di cattive condizioni che trascinavano le persone verso il basso. Octavia Hill aveva mostrato come andavano affrontate queste situazioni. Il Council approvò all’unanimità questa proposta.

Nello stesso anno la COS aveva dovuto sperimentare uno stop imprevisto: la School of Sociology, alla quale l’organismo si sentiva legato pur non gestendola direttamente, era stata incapace di raccogliere i fondi necessari per continuare a esistere.

Dovette perciò accettare la proposta della London School of Economy di unirsi al Department of Social Science and Administration. Il dipartimento era guidato da Urwick, che era anche direttore della School. Così per due anni non ci furono cambiamenti né per quanto riguardava i docenti né per quanto riguardava il programma.

Loch Mowat (1961) dice che l’accordo avrebbe potuto funzionare se le due entità fossero state di pari dimensioni, ma la London School of Economy era un’istituzione assai più grande e spiccatamente caratterizzata dalle posizioni socialiste dei suoi fondatori, i coniugi Webbs, mentre il suo approccio al lavoro sociale era molto più teorico di quello della School. Questo, inevitabilmente, influenzò l’azione del nuovo dipartimento e fece raffreddare la simpatia con la quale il mondo dell’assistenza volontaria aveva guardato alla School fino ad allora.

La prima generazione di leader della COS si assottigliava sempre più. La loro filosofia stava passando di moda nelle classi intellettuali del tempo, benché la società fosse ormai pronta a riconoscere il merito di questi pionieri. Anche Loch, come già Octavia Hill, aveva avuto l’onore di essere ritratto da Sargent. Nel 1905 la sua vecchia università, Oxford, gli aveva attribuito la laurea in Diritto civile. Il titolo di baronetto assegnatogli nel 1915 capitò dopo che un ictus, sopravvenuto nell’estate del 1913, lo aveva obbligato ritirarsi dalla vita pubblica. Ciò non gli permise neppure di partecipare alla cerimonia di conferimento. La morte di Octavia Hill, nel 1912, non solo gli aveva fatto mancare uno dei primi sostenitori della COS, ma anche una delle amiche più fedeli e più care. Trascorse gli ultimi anni di vita, compresi quelli della guerra, da spettatore impossibilitato a reagire di fronte agli enormi cambiamenti che attraversavano la «sua» organizzazione, cambiamenti vasti e repentini a tal punto da permettere di conservare ben poco della filosofia istillata dai Loch e dai Bosanquet.

1 originariamente il nome dell’organizzazione era Society for Organising Charitable Releief and Repressind Mendicity, ben presto abbreviato in Charity Organisation Society (COS)

2 vedi infra

3 The Times, 25 Jauary 1923, p. 13, cit. in Woodroofe (1962)

4 Uso di proposito questo termine per tradurre l’originale “charity” perché. Come verrà illustrato più avanti, nella filosofia della COS era proprio la libera espressione della generosità umana che caratterizzava l’atto e lo caricava di quella simpatia che diventava educativa

5 Non esiste alcuna biografia di Charles Loch. Per i dettagli biografici occorre rifarsi al suo diario, nel quale, peraltro, parlava prevalentemente della COS e che è stato utilizzato dal nipote, lo storico Charles Loch Mowart per pubblicare nel 1961 una pregevole storia della Charity Organisation londinese.

6 Bernard Bosanquet, filosofo e filantropo, apparteneva a una famiglia protestante francese fuggita in Inghilterra ai tempi delle persecuzioni. Fu, assieme alla moglie Helene e al fratellastro Charles, un importante protagonista della COS britannica.

7 Fra tutti. Possiamo citare la testimonianza di Richard Cabot alla Conferenza Internazionale del Servizio Sociale di Parigi, nel 1928.

 

FONTE: Bortoli, Bruno, I giganti del lavoro sociale, 2. ed., Erickson, 2013, p. 170-186

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