Scheda biografica a cura di Elda Fiorentino Busnelli
Josette Cattaui de Menasce Lupinacci deve essere ricordata per il suo prezioso lavoro nella costituzione dell’ENSISS (Ente Nazionale Scuole Italiane di Servizio Sociale) e per il suo impegno perché queste scuole fossero in grado di formare professionisti qualificati, attenti alle dinamiche della società, consapevoli dei processi giuridico-amministrativi nei quali la loro attività si realizzava.
Josette Lupinacci infatti per un trentennio, dal 1946 al 1977, oltre che occuparsi dell’organizzazione dell’ENSISS, ha svolto in molte scuole un ruolo di docente di quella disciplina che veniva denominata “Politica, organizzazione e amministrazione dei servizi sociali”.
Molti altri i suoi impegni “sociali” come sinteticamente cercheremo d’illustrare.
Josette Cattaui de Menasce nasce al Cairo in Egitto nel 1909 in una colta famiglia ebraica, terza di tre figli.
Compie i suoi studi prima al Cairo, poi in Francia ed infine in Italia, dove si trasferisce con la sua famiglia nel 1920. Nel 1931 sposa Manlio Lupinacci, giornalista, studioso di storia, antifascista militante.
Nel 1927 si era convertita dall’ebraismo al cattolicesimo come altri membri della sua famiglia.
Il rifiuto per l’ignominia delle leggi razziali, l’antifascismo di famiglia e dell’ambiente culturale internazionale nel quale viveva portano Josette Lupinacci verso scelte politiche democratiche sempre più precise, che costituiranno nell’immediato dopoguerra la base per il suo attivo impegno nel sociale.
L’impegno politico
Di lei è stato scritto (in Risorgimento Liberale 1946)… “Per lei tredicenne il 28ottobre 1922 fu una grande giornata. Sotto un immobile cielo di tragedia c’era nell’aria odore di polvere, di spari, di rivoluzione casareccia e caciarona. La ragazzina bruna aveva un’anima curiosa e coraggiosa. Fece “sega” a scuola e andò a vedere la rivoluzione. Fu a via Nazionale, a piazza Venezia, a porta san Paolo. I cortei, le grida, i discorsi, il movimento l’inebriarono. Comprò una cartolina con l’effigie di Mussolini in camicia nera e con una fascia tricolore. La sera fu ricondotta a casa stanca, più rivoluzionaria che mai, dal suo patrigno. SI, il 28 ottobre era stata una gran giornata. E anche i fascisti in realtà erano interessanti e simpatici. A casa ne parlavano così male! Ma la ragazzina ogni giorno andando a scuola adocchiava gli uomini in camicia nera che con facce più o meno truci sostavano dinanzi al fascio di Corso Italia. E ogni giorno dimenticava volutamente di togliersi il grembiule nero, e teneva il paltoncino ben aperto sul petto. S’illudeva così di portare la camicia nera e anche la fascia tricolore. Forse un giorno anche lei in testa ad un lungo corteo avrebbe fatto la rivoluzione!
Passarono due anni, il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti veniva assassinato. Una squallida croce dipinta sulla murata del Lungotevere e pochi fiori per terra. A volte i fascisti cancellavano la croce, buttavano via i fiori. Durante la notte la croce ricompariva e la mattina aveva già i fiori freschi. La gente passava seria. Molti sostavano in silenzio. Qualcuno s’inginocchiava.
A lungo Josette sostò davanti alla croce dipinta. Molto a lungo. Capiva finalmente. Finalmente le era innanzi il vero volto del fascismo. Era finita un’infanzia e l’inconscia adolescenza. Da quei giorni fu antifascista.
Fu antifascista durante la guerra d’Etiopia (nel 1931 aveva sposato Manlio Lupinacci, liberale antifascista, N. del R.), fu antifascista durante la guerra di Spagna. Anzi simpatizzante comunista.
La sua profonda fede religiosa, l’assoluto rispetto dell’individuo nell’ampio quadro delle libertà spirituali e materiali dei popoli, la sensibilità ai problemi di giustizia economica e sociale, hanno segnato il suo impegno politi»
Le testimonianze che seguono tracciano un quadro frammentario ma interessante di questo impegno e del clima nel quale si è sviluppato.
Scrive Marisa Cinciari Rodano:
“Era il settembre 1944. Da pochi mesi, per la precisione dal 4 giugno, giorno dell’ingresso degli alleati nella Capitale, vivevamo libere, anche Firenze e le Marche durante l’estate erano state liberate. Ma al di là della linea gotica, l’Italia restava sotto il tallone dell’occupazione e della feroce repressione nazista, e le donne combattevano nei GDD e nelle formazioni partigiane per l’indipendenza e la libertà… Fu in questo clima che a metà settembre partecipai con altre donne dei partiti antifascisti o senza partito alla costituzione del Comitato d’iniziative dell’UDI, allo scopo di dar vita ad un’associazione di donne impegnate nella lotta per i loro diritti e per la ricostruzione del Paese, nonché nel sostegno alla battaglia delle nostre sorelle del nord (tra le quali la sorella maggiore di Josette Lupinacci) contro i nazisti.
Gli obiettivi immediati nell’Italia libera erano di stabilire contatti con il governo, il CLN, la CGL e di lanciare una campagna di stampa per sensibilizzare le forze politiche, le autorità (italiane ed alleate) e l’opinione pubblica su un gruppo di problemi aventi carattere di emergenza: il voto amministrativo e politico per le donne era al primo posto.
Merita tuttavia leggere l’elenco degli altri, che la dice lunga su quali fossero le preoccupazioni più impellenti delle donne in quel momento
(Preoccupazioni politiche dunque, ma anche sociali ed assistenziali).
Il voto amministrativo e politico era, come si è detto, il primo punto e a tal fine, il 7 ottobre 1944 il Comitato d’iniziativa dell’UDI, assieme all’Alleanza femminile prò suffragio e alla Federazione delle donne laureate e diplomate, inviò un promemoria all’on. Ivanoe Bonomi, Presidente del Consiglio, sollecitando l’estensione alle donne del diritto elettorale attivo e passivo. L’esclusione delle donne da questo diritto — si scrisse — costituirebbe una stridente contraddizione con i principi democratici…
…In realtà non in tutti i partiti questa convinzione era pacifica. Avrei dovuto apprendere a mie spese che l’affermazione dei diritti dell’uomo non vale mai automaticamente per le donne, che anzi, quando i diritti umani si affermano, allora comincia la lotta perché divengano comprensivi di quelli delle donne.
Nei grandi partiti Democrazia Cristiana, Comunisti, Socialisti, i leaders erano certamente più avanzati e più convinti dell’insieme dei militanti. De Gasperi e Togliatti si espressero in modo inequivoco, così anche Nenni in
una intervista a Noi Donne il 15 gennaio 1945. In quel medesimo numero rispondeva alle domande del giornale anche Manlio Lupinacci, il cui imbarazzo era evidente, perché si trovava nella scomoda situazione che il suo partito, il Partito Liberale, aveva fortissime riserve (sul voto alle donne) e sua moglie Josette de Menasce Lupinacci (poi fondatrice delle ANDE Associazione Nazionale Donne Elettrici) era un’attiva militante del Comitato pro voto…
…La Costituzione, la legislazione paritaria, le lunghe lotte per affermare un nuovo ruolo della donna nella vita economica sociale, culturale, sono frutto di vere battaglie e di un faticoso processo di maturazione…”
Josette Lupinacci lascia l’UDI nel 1946 assieme a molte altre donne che non accettavano l’egemonia del PCI sull’UDI. Mantiene però con quelle prime compagne di lotta rapporti cordiali e collaborativi, tanto che nel 1963 riceve dal Comitato Romano dell’UDI la Mimosa d’oro quale riconoscimento al suo impegno per le donne.
Questo impegno è stato una costante nella vita di Josette Lupinacci; nel CLN, nell’UDI, nelle ANDE, nel Comitato prò voto, nella Lega Nazionale delle donne italiane, nel Partito Liberale, e poi col passare degli anni, in tutte le sue attività, non solo politiche, ma anche sociali, e perfino assistenziali.
Scrive Fiorenza Tariconi nel suo libro “Il Centro Italiano Femminile, dalle origini agli anni ’70”:
“Le Associazioni femminili non di massa si fecero promotrici nel 1953 di varie iniziative, in particolare la Lega Nazionale delle donne italiana con Maria Rygger e Josette Lupinacci (presidente) sottoposero ai parlamentari… un progetto di legge contenente modifiche alle norme sulla cittadinanza e un’azione comune per l’ingresso delle donne nelle giurie popolari, e nelle Corti d’Assise… In un’intervista (1963) a uomini e donne sulla responsabilità femminile nella disgregazione della famiglia, Josette Lupinacci, sostenendo una pari responsabilità dei due sessi nell’educazione dei figli, parla di ‘decristianizzazione della società, per opera di uomini e di donne’.”
In altra occasione Lupinacci aveva detto (1949?): “Non vi sono quindi dinanzi alla politica ed alla ricostruzione delle posizioni femminili: vi sono solamente delle posizioni morali e ideologiche che ne derivano. La donna è un essere pensante come gli uomini e se è coerente a se stessa non può permettere una differenziazione di sesso nelle questioni di odine intellettuale, spirituale e morale.
Tra gli uomini e le donne vi possono essere delle diversità di metodo di lavoro, di forza fisica, ma non altro. Quale la meta della donna per il fine della società, per la creazione di rapporti internazionali favorevoli alla pace, per il benessere delle nazioni e di tutti gli uomini? Anzitutto mettere a profitto le loro qualità, ma anche la loro capacità di lavorare in gruppo che è l’ideale per generare uno spirito di collaborazione civica, il primo strumento di collaborazione internazionale.”
Aveva anche scritto: “Mi pare impossibile che vi siano persone non d’accordo sulla dichiarazione di principio affermata dalla Costituzione nel suo articolo 37. Nessun essere dovrebbe poter ammettere una discriminazione aprioristica di sesso o di età fra uguale lavoro, uguale rendimento, e la retribuzione. Affermare il contrario sarebbe ferire un principio elementare di giustizia e turbare gravemente l’equilibrio sociale di una comunità. Si impone quindi una azione comune indipendentemente da ogni separazione politica affinché quel principio non venga né cancellato dalla Costituzione né annullato di fatto attraverso resistenze passive, ostruzioni e omissioni che non vengano prontamente rilevate.
E siccome non è soltanto un interesse femminile che si tratta di difendere, ma di un principio di giustizia, e di uguaglianza, affermato del resto nelle costituzioni di ogni paese civile e nella carta dell’ONU, l’azione comune dovrebbe raccogliere non solo le donne appartenenti ad ogni partito, ad ogni categoria sociale, ma anche gli uomini, non essendo questa una questione di semplici rivendicazioni femminili, ma una questione di moralità nel lavoro.”
L’Europeo del 6/3/1959 in un articolo di Camilla Cederno “Le italiane autorevoli al Convegno dell’Europeo” scrive: “La nomina di Clara Boothe Luce ad ambasciatore presso il Quirinale ha ravvivato il movimento femminista italiano: le nostre donne vogliono essere come all’estero, giudici, ambasciatori, prefetti, ministri.
In quel Convegno, Josette Lupinacci presidente nazionale della Lega delle Donne Italiane e presidente delle Soroptinist, dopo essersi dichiarata apertamente femminista e dopo avere deplorato che l’ambiente femminile in Italia è afono, opaco, smorto, accusò le nostre donne di non avere spirito associativo, paurose come sono di perdere il loro charme, se imbroccano la strada della politica; ha affermato che se le donne avranno il coraggio di raggrupparsi, tra qualche anno anche in Italia ci saranno donne ambasciatori, prefetti, ministri”.
Lo scoutismo
Il femminismo di Josette Lupinacci ha sempre avuto un carattere molto concreto: battaglie politiche, promozione di leggi, ma anche attività culturali, creazione di spazi perché le donne potessero vivere da protagoniste la loro cittadinanza.
Mossa da questo spirito nel 1943 fonda a Roma, assieme a Giuliana Carpegna ed altre, il primo gruppo femminile di scouts (guide) come esperimento di un libero associazionismo giovanile, in una società che per un ventennio aveva visto solo le organizzazioni promosse dal Partito Fascista il quale aveva peraltro soppresso tutte le altre compresa l’Azione Cattolica.
L’esperimento, realizzato con grande fiducia e coraggio, ma con estrema povertà di mezzi, ebbe un enorme successo e mise il primo seme del movimento femminile scout, poi confluito nell’Agesci.
Per Lupinacci questo ha rappresentato un primo passo nella sua lunga strada a favore delle donne, cittadine a pieno titolo di un Paese che si avviava velocemente verso una struttura ed una consapevolezza democratica.
Scrive Cecilia Lodoli nel volume “Le tracce dell’AGI” ricordando la nascita dell’AGI (Associazione Guide Italiane): …“L’idea, tutte lo sappiamo, è stata di Giuliana Carpegna, e subito vicino a lei Josette Lupinacci. Così ricorda Josette la genesi di quell’idea: “eravamo felici di essere libere, ma non potevamo onestamente accontentarci di questa felicità: il Paese aveva bisogno di tutte le energie disponibili per mettersi sulla strada della democrazia… Non occorreva essere molto colti o svelti per concludere che uno dei rimedi era un rinnovo della gioventù… Intanto, un’associazione femminile.” Una scelta naturale in quel momento storico, ma di cui non va sottovalutata l’importanza perché la metodologia del Guidismo, e qui penso a Josette Lupinacci, era certamente intesa come un contributo alla promozione della donna in quanto persona:
Questa promozione era inoltre chiaramente intesa nel senso evangelico delia “donna forte” capace di prendere in mano la propria vita.”
Lupinacci stessa in una relazione svolta in occasione del 30° dalla fondazione delle guide così ricorda quegli inizi:
“Eravamo in giardino, sdraiate all’ombra di una calda giornata dell’agosto 1943; il fascismo era caduto. I quarantacinque giorni si dipanavano per noi nelle alternative di ore liete e tristi. L’avvenire che ci stava dinanzi non era dei più sereni, poiché la guerra continuava e la sconfitta era già crollata su di noi. Tuttavia la fine del regime ci confortava e le energie civiche che erano latenti in noi si risvegliavano non già impigrite dal lungo sonno di vent’anni, ma fresche e integre, giovanilmente ottimiste, con idee, iniziative, progetti ed anche sogni…
…Senza timidezze Giuliana (Carpegna) ed io ci affacciavamo alla libertà e ci pareva che ogni sorta di riforma avrebbe potuto esserci consentita… Parlavamo col tono sereno di chi non ha più paura, di chi sa che la libertà e la democrazia sono ad un tiro di schioppo, e con queste la partecipazione attiva alla vita del Paese, al servizio onesto della ricostruzione…
E così… il discorso ci condusse allo scoutismo.
Giuliana perché nipote di Mario Carpegna, io forse perché educata da una governante inglese, imboccammo tranquillamente, quasi senza accorgercene, la via che ci doveva condurre alla decisione di fondare in Italia il movimento scoutistico femminile. Tutti i valori della democrazia erano racchiusi in quella parola “guidismo” che pronunciavamo senza sforzo; tutti gli ideali civici erano raccolti nel metodo pedagogico che conoscevamo tutte e due perché faceva parte del nostro patrimonio culturale… Non avremmo naturalmente pensato possibile in quel momento che una di noi ed alcune amiche avrebbero fatto la loro promessa di guide in piena occupazione tedesca di Roma, nelle catacombe, nel triste dicembre 1943. Le catacombe di Priscilla accolsero in quell’ora solenne, in cui si impegnavano a diventare delle educatrici, le prime amiche guide adulte. Altre, le più anziane, facemmo la nostra promessa un anno dopo, nella cappelletta del Sacro Cuore a Trinità dei Monti. Prendemmo il nome di “tartarughe” perché dovevamo essere le più sagge, le più lente, le più caute, perché portavamo sulle nostre spalle la responsabilità di una nuova casa;…
…Nel pensiero mio e forse di alcune amiche, certo non della maggioranza, l’AGI (Associazione Guide Italiane) avrebbe potuto sorgere come nei Paesi dove lo scoutismo fu inventato, come un libero movimento al di fuori delle strutture del cattolicesimo organizzato; non avrei voluto che diventasse un’organizzazione cattolica, per non accrescere fratture che la situazione politica contingente, già preparava. Avrei voluto fare dell’AGI un movimento unitario, che raccogliesse ragazze ebree, protestanti, agnostiche e cattoliche,
in Riparti organizzati in modo che ogni gruppo potesse vivere la propria vita spirituale secondo le proprie vocazioni religiose e tutte insieme, sotto una guida illuminata, nell’attuazione della “Legge”, prepararsi al comune ideale di cittadina al servizio della comunità nazionale…
…Lo scoutismo, per la sua base fondamentale di educazione alle libertà ed all’autoresponsabilità, non aveva potuto convivere con il fascismo, né può convivere con i regimi totalitari, di destra o di sinistra che siano. Nulla è più in antagonismo con la mentalità di chi regge i popoli con la tirannia…”
Lo scoutismo per Lupinacci ha quindi rappresentato un aspetto particolare del suo impegno politico, femminista ed educativo, che ha forse quasi inconsapevolmente preparato la sua vasta attività nel sociale.
Il servizio sociale
Quando nel 1946 accetta di condividere con il fratello mons. Giovanni de Menasce l’avventura della fondazione della SISS (Scuola Italiana di Servizio Sociale) e subito dopo dell’ENSISS, lo fa con entusiasmo intravedendo nella professione dell’assistente sociale un’opportunità per tanti giovani, in particolare donne, di contribuire “dal basso” alla ricostruzione del Paese. I poveri, gli emarginati dovevano essere aiutati a sentirsi cittadini a pieno titolo ed a contribuire alla rinascita del Paese. Per le donne che avessero scelto questa professione, un’occasione in più per manifestare le loro attitudini, capacità e volontà d’impegnarsi a fondo nello studio e nel lavoro.
Il 1948 è per Josette Lupinacci un anno ricco di esperienze ed iniziative; come segretaria generale dell’ENSISS segue l’organizzazione delle nove scuole che ne fanno parte (Milano, Venezia, Trento, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Messina, Palermo).
Ottiene due borse di studio, una dall’Aiuto Svizzero in Italia per contribuire all’organizzazione delle scuole di servizio sociale e dei servizi sociali in Svizzera; l’altra dal British Council per studiare il problema della delinquenza minorile e dei servizi di “probation”. Per questa sua competenza prende parte all’organizzazione italiana del “probation”, che nell’amico giudice Guido Colucci ha avuto il suo appassionato sostenitore fino alla costituzione all’interno del Ministero di Grazia e Giustizia dell’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni.
Sempre nel 1948 ha fatto parte della Commissione delle Nazioni Unite che si riuniva a Parigi per studiare l’integrazione dei programmi di formazione teorico/pratici degli assistenti sociali; nell’ENSISS infatti Josette Lupinacci riporta la sua esperienza parigina, promuovendo la massima omogeneità possibile nei programmi delle nove scuole, preoccupandosi che a tutti gli allievi fosse assicurato oltre un buon livello di docenza, l’opportunità di svolgere tirocini guidati professionalmente validi.
Le scuole ENSISS infatti, certo non solo per l’impegno di Lupinacci, hanno sempre tutte curato in modo particolare gli aspetti professionalizzanti sia degli insegnamenti che delle esperienze sul campo (tirocini).
In molte scuole ENSISS Lupinacci ha anche tenuto seminari, lezioni, incontri di studio con allievi, docenti e supervisori sul tema a lei caro, la politica e l’organizzazione dei servizi. Il suo era un insegnamento assai poco strutturato, ma un’occasione per invitare a riflettere sui contesti nei quali l’assistente sociale opera, e per richiamare all’impegno ad agire anche nei confronti delle strutture e non solo dei loro utenti. L’anima “politica” di Lupinacci si rivelava nelle sue lezioni: l’assistente sociale non è solo un operatore dei servizi, ma un cittadino che deve contribuire a costruire una società più giusta, servizi a misura umana, prestazioni che non servano solo a tamponare i bisogni più urgenti, ma ad avviare un processo di liberazione dal bisogno, di fiducia nelle proprie potenzialità e capacità, di speranza perché l’organizzazione democratica del paese dia, o comunque possa dare a tutti pari opportunità di serenità e salute.
Nel 1953 le viene chiesto di scrivere una monografìa “Funzione tipica del servizio sociale come metodo di assistenza in alcuni Paesi stranieri” per la Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla”. Il prestigioso incarico viene assolto brillantemente, come dimostra la monografìa di 120 pagine rintracciabile negli Atti di quella Commissione. In essa Lupinacci scrive: “…temiamo di non essere riusciti a completare il nostro quadro e a dare al nostro lettore una visione, esauriente, dimostrativa, che il servizio sociale è valido se applicato con precisi metodi e se i suoi scopi sono inequivocabili Se non vi è armonia fra condizioni economiche, livello culturale educativo e metodo assistenziale, si può essere certi che qualcosa nel sistema di assistenza è errato e sarebbe doveroso rivedere tutte le premesse informatrici per ritrovare il punto dove l’incidenza dei tre elementi ha provocato l’ingigantirsi del fenomeno della miseria o l’inadeguatezza dei rimedi ad essa posti.
Quando vi è sfasamento tra assistenza e bisogno dell’assistito, il servizio sociale, perdendo i contatti con le necessità di questi, rischia di restringersi ad una sola delle sue funzioni (l’aiuto diretto invece d’impegnarsi anche nella promozione di servizi, nell’organizzazione di comunità ecc.)… suscitando nell’opinione pubblica scetticismo sulla sua efficacia…”
Il suo impegno nel servizio sociale, la sua ampia cultura, la perfetta padronanza delle lingue straniere, l’hanno portata a rappresentare assai spesso l’Italia in varie situazioni internazionali; ricordiamo oltre quanto già citato:
1952 membro della delegazione italiana alla Conferenza Internazionale di Servizio Sociale (ICSW) a Madras e partecipante al viaggio di studio nelle varie scuole indiane di servizio sociale
1952 ottiene una borsa di studio per un soggiorno in USA per studiare le scuole pubbliche e private di servizio sociale
1962 — 1963 — 1964 compie viaggi di studio per la ICSW in Israele, Brasile, Olanda, Norvegia
1964 è nominata Vice Presidente Internazionale dell’ICSW (sezione europea)
In tutte queste occasioni Lupinacci tiene conferenze, dirige gruppi di studio, presiede commissioni. Ovviamente di ogni viaggio fa relazione al Comitato Italiano di Servizio Sociale (vedi Bollettini di quegli anni) e trasmette ai suoi allievi della SISS di Roma e delle Scuole ENSISS il frutto della sua esperienza, cercando di aiutarli a sentirsi un po’ cittadini del mondo oltre che cittadini italiani; sperava con questo di dare il suo contributo alla pace fra i popoli ed alla fratellanza universale della quale si augurava che i “suoi” assistenti sociali fossero convinti testimoni.
Le relazioni elaborate per i Seminari da lei tenuti sull’Organizzazione ed amministrazione dei Servizi Sociali nelle Scuole di Bologna, Firenze, Venezia, Palermo e Trieste e nella Scuola per Religiose documentano questo suo impegno.
Agli allievi della scuola di Roma e delle altre scuole ed ai diplomati già inseriti nel lavoro, nelle sue lezioni, Lupinacci raccomandava di impegnarsi a conoscere l’ente, le strutture nelle quali lavoravano o svolgevano i tirocini; ricordava che l’aiuto ai più poveri, ai diseredati, non è un atto personale, ma professionale, che acquista specificità in rapporto al contesto legislativo ed amministrativo nel quale si estrinseca.
La disciplina che lei insegnava, “Politica, organizzazione ed amministrazione dei servizi sociali”, nel suo intento non avrebbe dovuto essere un esercizio intellettuale astratto, ma un preciso strumento di lavoro, perché gli assistenti sociali dovevano trovare nelle finalità e nelle strutture degli enti, i confini del proprio lavoro, gli stimoli per migliorare le prassi, e per continuare a promuovere quei cambiamenti istituzionali che i bisogni reali della gente chiedevano. Questo intento non sempre riusciva ad emergere nel suo insegnamento, a volte, è doveroso riconoscerlo, confuso, più velleitario che concretamente utile nella pratica professionale. Ma questi limiti oggettivi non inficiavano nella sostanza il significato della sua docenza, del suo rapporto con gli allievi, sempre arricchente per le aperture sociali, politiche, anche internazionali, che venivano presentate e proposte.
Lupinacci desiderava che gli assistenti sociali non “annegassero” nella fatica della quotidianità, ma mantenessero vivo il loro impegno per il miglioramento della società attraverso quello delle strutture che la costituiscono.
Un aspetto particolarmente significativo della sua attività nell’ENSISS concerne l’organizzazione degli annuali incontri di studio, tra docenti, direttori, monitori delle nove scuole associate. In questi incontri, residenziali, di più giorni, si delineavano o consolidavano le linee culturali dell’ENSISS; giornate di studio, di confronto, di dibattito.
Un’occasione “formativa” preziosa soprattutto per i più giovani (monitori, supervisori e docenti delle discipline professionali) collaboratori delle Scuole: ma anche un’occasione per creare quei rapporti amicali che hanno caratterizzato tante relazioni tra i membri dell’équipe delle Scuole. Non si creda che tutto fosse pacifico in quegli incontri; i contrasti esistevano ma si manifestavano senza remore o timori. La personalità prestigiosa e dominante del fratello di Josette, mons. Giovanni de Menasce, direttore della scuola ENSISS di Roma, era spesso elemento di frizione, specialmente tra i direttori, ma l’equilibrio ed il garbo di Lupinacci, riportavano sempre gli scontri, nell’ambito di proficui dibattiti.
Quando nel I960 è invitata a svolgere un corso di metodologia professionale alla Scuola Superiore di Polizia a Roma, per il nuovo corpo di polizia femminile, fa rifluire nell’insegnamento tutta la sua esperienza italiana ed internazionale, per aiutare le future “donne poliziotto” a fare della loro nuova professione un servizio ai cittadini.
Per Lupinacci l’“obiettivo donna” è sempre stato prioritario, e lo ha dimostrato anche nel servizio sociale con l’intenso lavoro svolto per e con il CIDD (Comitato Italiano Difesa della Donna) organismo sorto nel 1950 a seguito del dibattito sulla legge Merlin; in esso Lupinacci ha voluto che lavorassero le assistenti sociali, ritenendo queste professioniste le più idonee a stabilire rapporti significativi con le prostitute, con quelle che tra di esse volevano lasciare il “mestiere” e che incontravano tante difficoltà nell’inserimento lavorativo. Lupinacci ritenne che le assistenti sociali potevano proficuamente occuparsi non solo della relazione diretta con le utenti del CIDD, ma potessero (e così fu) organizzare centri di accoglienza, laboratori e scuole di formazione professionale. Lupinacci come socio fondatore e membro del Consiglio direttivo ha molto contribuito a fare del CIDD un vero servizio sociale in molte città italiane.
Nel 1950 fu organizzato a Roma il 18° Congresso della Federazione Abolizionista Internazionale, che aveva fatto al CIDD la proposta di tenere in Italia il suo congresso, per diffondere le tesi abolizioniste e sostenere nell’opinione pubblica la proposta di Merlin, in discussione al Senato italiano; Lupinacci in questa occasione ebbe un ruolo di primo piano per tessere quella rete di rapporti internazionali che avrebbero fatto del CIDD non solo un servizio operativo, ma un centro di promozione culturale.
Su Epoca, agosto 1953 n. 149, Lupinacci scrive:
Assistenti sociali, una missione
Il servizio sociale professionale ha la funzione di:
L’assistente sociale non è, come alcuni credono, un soccorritore “temicizzato”, un distributore di elemosine, il portatore della beneficenza altrui.
Dice Tommaseo: “Il potente soccorre, il forte aiuta, l’amico assiste”. L’assistente sociale è un professionista che aiuta e che ha la sua forza nella competenza ottenuta con studi seri e tirocini guidati.”
Un altro ambito di lavoro è stato quello dei ragazzi devianti; come giudice non togato è stata anche membro del Direttivo dell’Associazione Italiana Magistrati dei Tribunali per i Minorenni, dal 1957. Le sue attitudini ed i suoi interessi la portavano ad occuparsi in modo particolare delle ragazze che avevano commesso reati o che erano in grave pericolo; anche in quest’ambito il suo impegno principale è stato quello di promuovere l’attività del servizio sociale. La sua personale amicizia con il giudice Colucci, presidente del Tribunale per i Minori di Roma, e, come si è detto, fondatore del servizio sociale nel Ministero di Grazia e Giustizia, ha certamente contribuito a fare di lei una sostenitrice appassionata di questo servizio.
Quando nel 1954 è sorto l’ISSCAL (…) ed il dott. Riccardo Catelani è stato chiamato a ricoprirvi l’incarico di segretario generale, Lupinacci è entrata a far parte del Consiglio Direttivo e da allora ha sempre attivamente collaborato con lui, occupandosi particolarmente della “qualità” degli operatori che andavano ad inserirsi in questo innovativo servizio: selezioni accurate, corsi di formazione ed aggiornamento, supervisione, hanno permesso al servizio dell’ISSCAL di acquistare una posizione privilegiata tra i servizi “della e per la comunità”; il contributo di Lupinacci a tutto ciò è stato notevole.
Dal 1952 al 1954 Lupinacci è stata anche Presidente Nazionale del Soroptimist Italia (il Rotary femminile); un altro impegno con le donne e per le donne. Riteneva infatti che tutti gli ambienti sociali culturali professionali, dovessero contribuire allo sviluppo del Paese; inoltre ormai il servizio sociale professionale l’aveva conquistata ed i valori che lo animavano e le mete che si prefìggeva non potevano essere patrimonio esclusivo di una professione ma dovevano coinvolgere tutti. Nel Soroptimist portava i problemi che i “suoi” assistenti sociali quotidianamente incontravano, cercando così di orientare la sensibilità delle “amiche soroptimiste” verso quei problemi.
Se in oltre 35 anni di attività l’impegno di Lupinacci ha spaziato in tanti campi, l’ENSISS e la SISS ne hanno sempre costituito (dal 1946 al 1976) l’asse portante. Qui infatti la vicinanza con il dinamico fratello mons. Giovanni de Menasce, la collaborazione con i direttori delle singole scuole (tutte persone di alto livello umano e culturale) con i membri dei Consigli d’Amministrazione (composto da politici illuminati, accademici di singolare valore, dirigenti di servizi ecc.) permettevano a Lupinacci di confrontare ed arricchire le sue idee; il rapporto diretto con gli studenti della SISS ma anche delle altre scuole ENSISS, le dava una dimensione sempre giovane e nuova dei problemi.
Così la ricorda una giovanissima (allora!!) allieva:
“Ricordo la sua fisionomia forte da cui traspariva un’intelligenza speciale. Lo sguardo era intenso, intenso e penetrante, con talvolta nel fondo un’acuta superiore ironia. L’aspetto fisico non era particolarmente curato, come di chi bada più alla sostanza che alla forma. Non concedeva molto alla sua femminilità, teneva ad essere se stessa. Una donna di classe. L’abitudine alla speculazione intellettuale, l’attenzione ai fermenti ed alle istanze della società la resero sempre sensibile ai problemi dei giovani. Stimolava e ascoltava le conversazioni, non perdeva l’occasione per commentare le nostre idee, i nostri entusiasmi, i nostri problemi, comunicandoci sempre qualcosa di importante”.
Gli allievi non amavano molto le sue lezioni, troppo poco sistematiche e a volte confuse, ma apprezzavano le discussioni che ne seguivano, non sempre in tema, nelle quali potevano esprimersi liberamente ed attraverso le quali sentivano passare un forte senso della democrazia, di rispetto per le istituzioni, ed una spinta a parteciparvi e ad impegnarsi in prima persona.
L’ENSISS ha rappresentato per Lupinacci un grande faticoso amore: le difficoltà economiche ed organizzative, le autonomie locali che portavano sempre più le singole scuole a connotarsi differentemente; il sorgere al di fuori dell’ENSISS di una miriade di scuole e scuolette che rischiavano di far perdere alla professione il suo stile di rigorosa competenza; la contestazione degli anni 68/70 sofferta e forse poco capita; e molti altri elementi, hanno un poco eroso l’entusiasmo di Lupinacci che però è stata coraggiosamente sulla breccia fino alla chiusura dell’ENSISS nel 1976.
Dal 1970 al 1972 Josette Lupinacci aveva collaborato attivamente con Anna Giambruno alla riorganizzazione dell’Elemosineria Apostolica del Vaticano. Il loro tentativo è stato quello di trasformare in un servizio sociale un’attività meramente elemosiniera.
Alle richieste scritte dei parroci si rispondeva con una o più visite sul posto per interessarli a scoprire i problemi più veri, spesso non palesi, della gente; li si invitava a stabilire rapporti con le strutture pubbliche, a coordinarsi con tutte le risorse pubbliche e private del territorio. Gli eventuali finanziamenti venivano legati a progetti non effimeri. E’ chiaro che questo non sempre soddisfaceva i parroci, ma le discussioni lunghe e pazienti hanno dato spesso frutti positivi. Questa esperienza è importante nel cammino di Lupinacci perché dimostra che si è voluta impegnare operativamente (e non solo culturalmente) nel servizio sociale.
Dal 1972 al 1974 un altro grande impegno ha occupato tanto del suo tempo e molte sue capacità: la preparazione del Convegno Ecclesiale sui mali di Roma, svoltosi nel febbraio 1974.
Lupinacci ha lavorato ovviamente con altri nel settore ovest (la diocesi era divisa in quattro settori) promuovendo con le parrocchie, con tutte le organizzazioni religiose, quell’esame attento e lucido sui problemi del territorio che ha costituito la base per le riflessioni del Convegno. In questa attività essa ha riversato tutta la competenza del servizio sociale, con la viva speranza (purtroppo dai fatti piuttosto delusa) che questo grosso “esame di coscienza” portasse un reale cambiamento nell’operatività della Diocesi di Roma.
Negli ultimi anni della sua vita, provata da lutti e malattie, è stata via via più lontana dalla scena pubblica.
Muore nel 1988, un anno dopo il suo adorato fratello Giovanni.
Fare memoria di questa donna è oggi un dovere per chi ama il servizio sociale, ma anche per chi ama e rispetta il lungo accidentato cammino del progresso civile.
Lupinacci ha iniziato il suo impegno politico e sociale in un periodo ricco di valori e speranze; le delusioni, le difficoltà successive hanno forse appannato la sua tensione, non la sua voglia di fare, non la sua fiducia nel servizio sociale.
Essa fa parte di quel piccolo gruppo di “fondatori” delle scuole di servizio sociale, che provenendo dall’antifascismo militante, ha visto in esse una possibile palestra di libertà e nei professionisti che avrebbero formato, cittadini impegnati non solo nel servizio ai poveri e agli emarginati, ma nello sviluppo civile e democratico della società.
Si ringraziano per la collaborazione, le testimonianze, la disponibilità dei loro archivi privati: Albi Grimod Silvia Apolloni Ceccarelli Letizia Cinciari Rodano Marisa De Biase Gaiotti Paola Lupinacci Proverà Chiara Sebastiani Spaini Mariella Tedesco Tato Giglia
Tutti i documenti utilizzati per elaborare questa scheda biografica sono stati raccolti in un dossier della Sostoss, affidato all’Istituto Sturzo.
Fonte: Rivista di servizio sociale, a. 41, n.2 (giu. 2001), p. 91-106