Persone

Nel corso del 2020 è stata condotta una campagna di interviste volta a raccogliere le testimonianze di politici, amministratori, familiari e professionisti in grado di raccontare l’evoluzione dei servizi sociali nella seconda metà del Novecento. È stato costituito un archivio di videointerviste del quale si restituiscono in questa mostra virtuale alcuni spezzoni, ma soprattutto la sintesi dei contenuti predisposta da Alessandro Monari e Benedetta Golosini. Le testimonianze riguardano soprattutto il territorio trentino con qualche riferimento all’Alto Adige sulla base di quanto riportato in una pubblicazione edita agli inizi degli anni Duemila.

 

I supereroi del quotidiano (di Benedetta Gelosini)

Siamo nel 2021; ognuno di noi sta combattendo contro una pandemia che ha colpito milioni di persone in tutto il mondo.

Viviamo nel 2021; ci sono uomini e donne che hanno a che fare ogni singolo giorno della loro esistenza con la povertà, con la discriminazione, con il maltrattamento.

Siamo il 2021, e ora dico che lo “siamo” perché ognuno di noi dovrebbe adoperarsi per rendersi migliore, per rendere questo mondo migliore di come lo ha trovato.

Quando mi è stato chiesto di ascoltare testimonianze e scrivere di uomini e donne che hanno contribuito in modo così potente al miglioramento della nostra società, mi sono sentita in dovere di informarmi riguardo al significato che porta in sé il ruolo dell’assistente sociale. Per ogni professione sociale esiste un codice deontologico, ovvero un codice di comportamento, generalmente a livello normativo, a cui il professionista fa riferimento nello svolgimento dei suoi compiti. Nel sesto e settimo articolo del Codice Deontologico degli assistenti sociali troviamo l’essenza profonda del ruolo:

La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nel processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione. […] L’assistente sociale riconosce la centralità della persona in ogni intervento. Considera e accoglie ogni persona portatrice di una domanda, di un bisogno, di un problema come unica e distinta da altre in analoghe situazioni e la colloca entro il suo contesto di vita, di relazione e di ambiente, inteso sia in senso antropologico-culturale che fisico.

Quando leggo questo codice, mi sembra di percepire in ogni parola un volto differente, volti che ho analizzato a fondo, che ho integrato con le emozioni che i loro occhi non nascondevano. Ed è lapalissiano constatare quanto un’emozione nata da un sacrificio è impossibile da nascondere ed è meravigliosamente contagiosa.

A partire da Valerio Costa che ci ha insegnato il movimento della vita, con i suoi alti e bassi; il Signor Costa ha raccontato come una vita possa bloccarsi, così, da un momento all’altro: la vita dei tossicodipendenti, quella che lui chiama “paralisi della droga”. Una paralisi che porta a confrontarsi con il vuoto personale, con l’incertezza del domani e con una spiccata sensibilità nel vedersi diversi rispetto agli altri. La droga che porta alla morte, una morte che però si può evitare se si ha la volontà di poter tornare, a piccoli passi, a camminare, a vivere. Persone come Valerio Costa donano una nuova possibilità: la possibilità di nascere una seconda volta.

Creare il ruolo di assistente sociale non è un compito da tutti; Bruno Fronza ad esempio è un uomo che partendo da una povertà iniziale, da una famiglia umile con radicati principi, si è costruito un nome e con questo nome, associato a una spiccata intelligenza, è riuscito a raggiungere l’altro capo del mondo. Ha aiutato gli italiani che avevano deciso di trasferirsi in altri paesi per trovare lavoro o condizioni di vita migliori. Lui conosce cosa significa non avere nulla ed è per questo che ha deciso di portare il suo contributo in un mondo di politica. Una politica a cui lui lascia un monito molto importante: «la posizione del politico serve per servire, non per servirsi».

A questo proposito una delle prime donne a far sentire la sua voce nella politica cittadina è stata Paola Vicini Conci. La sua meravigliosa e camaleontica versatilità di donna, madre, politica, moglie, insegnante. In ogni ruolo si distingue per una sensibilità e un’attenzione per il prossimo che ha pochi eguali. Così questa donna ha raggiunto i suoi obiettivi, contrastando le ingiustizie legate al genere, lottando per l’affermazione di leggi che tutelassero i bambini e il loro sacro diritto allo studio. Le sue risorse inesauribili l’hanno spinta ad amplificare il ruolo più bello che una donna possa rivestire: è diventata mamma di un bambino il cui futuro era in bilico tra la povertà e l’incertezza di una vita degna.

Il tema dell’adozione è importante e attualissimo. Non ci si può inventare genitori da un momento all’altro; una madre deve fare un percorso tale da poter sentire in sé un grande impulso di maternità, e il padre deve saperla affiancare in un ruolo affettivo e insieme educativo. Santo Boglioni ha adottato insieme alla moglie e a tutta la sua famiglia un bambino con problemi di epilessia che non era nemmeno in grado di comunicare come gli altri bambini; eppure Santo ha accettato questa sfida. Massimo ha più di 40 anni ora ed è una sfida vinta, a tutti gli effetti. Santo Boglioni in realtà di sfide nella sua vita ne ha accettate tante: insieme alla moglie e alla famiglia si dedica al volontariato. Si tratta di un atto di bene, di solidarietà molto più complesso di ciò che appare: fare volontariato significa infatti saper ascoltare i propri istinti di altruismo, di gentilezza, di amore, coniugandoli con un livello di professionalità che va acquisito con impegno.

Il volontariato e la partecipazione in alcune associazioni come ANNFAS, che si occupa dell’inclusione di bambini disabili, portano in sé messaggi di grande speranza, per uomini, donne, famiglie. Mariagrazia Cioffi Bassi è una mamma che desidera un futuro dignitoso per i suoi figli. Grazie a un circolo virtuoso che è riuscita a mettere in funzione ci rende partecipi di un pensiero meraviglioso che raccoglie in sé un purissimo sentimento di speranza: «se quando è nato mio figlio, avessi saputo quello che lui mi avrebbe donato, quello che sarei riuscita a costruire grazie a lui in questi anni, non mi sarei disperata, sarei stata felice della sua nascita. Adesso lo sono».

Felici di una vita dignitosa dovrebbero essere anche le famiglie di origine Sinta di cui si occupa Stefano Petrolini. La sua lotta sfrenata per una categoria di persone che sono sempre più emarginate e abbandonate a loro stesse, senza essere comprese dal resto della popolazione, senza essere integrate come membri di uno stesso gruppo.

In conclusione dunque posso dire che quando mi è stato chiesto di raccontare queste storie, mi sono davvero sentita onorata di poter dare la voce a persone che nella vita hanno sempre messo al primo posto il prossimo invece di sé stessi: ben venga, dunque, l’iniziativa della Fondazione Museo Storico di Trento che, per una volta, mette gli assistenti sociali davanti a tutti gli altri. Sono esempi di cui fare tesoro, sono testimonianze che ci permettono di vedere una luce in un tunnel che troppo spesso ha le pareti tappezzate dall’indifferenza. La nostra società non ha bisogno di supereroi con poteri da film di animazione o di fantascienza. I supereroi non esistono, esattamente come non esiste la perfezione, anche se qualcosa di perfetto noi lo abbiamo eccome: già i filosofi del mondo greco valutavano il cervello un organo perfetto, «l’organo del pensiero». Era Plutarco a recitare che «La mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere perché s’infuochi il gusto della ricerca e l’amore della verità». E allora forse è proprio questo che dovremmo imparare fin da piccoli: i supereroi non hanno davvero poteri soprannaturali, non accendono il fuoco con il pensiero e non volano sui palazzi sganciando ragnatele dai polsi; i supereroi, quelli veri, sono invece coloro che ascoltano e aiutano gli altri; e i superpoteri sono i piccoli gesti e le parole dette nei momenti giusti per accendere quei fuochi di amore e altruismo di cui l’umanità, tutta, ha sempre bisogno, anche nel 2021, terzo decennio del XXI secolo.

 

Storia e funzione dell’assistente sociale (di Alessandro Monari)

Dalla sua nascita alla sua effettiva affermazione in Trentino, il servizio sociale ha affrontato sfide burocratiche, morali e organizzative dovute a una stigmatizzazione della professione che, soprattutto agli albori, dilagava tra le diverse comunità.

Chi si avvicinava a questo tipo di formazione, come le persone intervistate, doveva assumere un comportamento adattivo con la persona assistita e combattere un pregiudizio nei confronti della necessità personale di fare del bene e alleviare il disagio sociale. Anche da questo punto di vista nelle interviste notiamo che, indipendentemente dal ruolo ricoperto, ogni individuo occupa una posizione fondamentale nell’evoluzione di questa professione.

Un tema ricorrente nelle parole degli intervistati è il riferimento agli anni Sessanta che hanno consentito di riportare il malato di mente o le giovani madri a comprendere l’utilità dell’assistenza sociale nella vita e nella propria società.

La terapia, il dialogo, l’ascolto ed il reinserimento nella società erano step necessari ad una guarigione completa dell’individuo. L’obiettivo, ora comune, era quello di permettere alla persona di trovare in se stessa e nella famiglia la forza di combattere per uscire dalla malattia e dal disagio, vivendo una vita degna di essere chiamata così.

Queste le parole a testimonianza dell’obiettivo comune di tutti gli intervistati.

Il periodo delle rivoluzioni del Sessantotto, le leggi emanate negli anni successivi e la forte volontà di affermare il servizio sociale da parte delle istituzioni sono temi importanti per ogni intervistato.

Le parole riguardo alla connessione tra la politica e la professione fanno trasparire un rapporto travagliato ma sempre più solido. Spesso, affermano, ci si limitava a considerare l’assistente sociale una figura malvista e poco rappresentata, ma nel tempo si sono sviluppate una rappresentazione istituzionale, un’amministrazione e una vera e propria dirigenza che tutelano gli assistenti sociali come tutti gli altri lavoratori.

La collaborazione tra istituzioni e servizio sociale è di estrema importanza per la riuscita dei programmi di intervento. E ciò sta alla base di un valido servizio alla società.

Un aspetto molto rilevante all’interno di ognuna delle interviste è l’importanza della comunicazione. Comunicazione che riguarda sia gli utenti che possono appoggiarsi al ruolo dell’assistente sociale sia le persone del sistema dell’assistenza e i rappresentati delle istituzioni che devono fornire supporto economico e spazio all’interno delle comunità.

La comunicazione è, come affermano gli intervistati, la competenza più importante e più difficoltosa da padroneggiare. I pazienti spesso faticano a instaurare un dialogo; la malattia mentale e il disagio sociale, spesso, sono accompagnati da scarse capacità verbali. È dunque compito dell’assistente sociale imparare a comunicare per instaurare un dialogo in vista del miglioramento e della cooperazione.

In conclusione, con le parole di una delle intervistate (Piera Volpi in Ianeselli), possiamo vedere il lavoro dell’Assistente Sociale con occhi critici e fiduciosi.

È una professione nobile e fondamentale per concedere la giusta importanza all’ascolto, al confronto e al dialogo con le persone.

Le emozioni descritte e ricordate da ogni intervistato traducono la vera essenza delle esperienze in situazioni sociali complicate, vissute in prima persona. Il contatto con ragazzi, ragazze, uomini e donne, giovani e anziani, figli, madri e padri di famiglia hanno aumentato la consapevolezza del valore umano di ogni membro della società.

Trovo che oggi come una volta per fare l’assistente occorrono delle motivazioni, occorre una sensibilità, occorre una coscienza sociale, occorre la convinzione, appunto, che quei valori originali del servizio sociale di uguaglianza e di unicità di ogni persona sono la base della convivenza e di questo lavoro.

Penso che in mancanza di questi non esita nemmeno il servizio sociale. Il servizio sociale, qualora non ci fossero più questi valori, morirebbe da solo, non c’è altra alternativa.

Così afferma Bruno Bortoli, uno degli intervistati. Ogni intervista rivela un processo di crescita personale, una crescita interiore e formativa dell’assistente sociale che si può riscontrare anche negli assistiti, confermando la rilevanza di una professione indispensabile nelle società complesse contemporanee.

 

In un pieghevole di presentazione dei corsi di formazione offerti dalla Scuola superiore regionale di servizio sociale diffuso nella seconda metà degli anni cinquanta così si presentavano la figura dell’assistente sociale e il suo lavoro.

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