Analisi Videointervista a cura di Alessandro Monari (15.03.2019)
Parla Bruno Bortoli ex formatore per assistenti sociali.
Bruno apre l’intervista spiegando che il suo percorso professionale all’interno del servizio sociale è iniziato, subito dopo aver terminato gli studi, partecipando ad un progetto di ricerca che gli ha permesso di scoprire la passione per questo ambito.
Immerso all’interno del mondo lavorativo e della ricerca Bruno decide poi di intraprendere la strada di formatore per chiunque aspirasse a diventare un assistente sociale. Successivamente prenderà parte al corpo docenti all’interno della facoltà di Sociologia a Trento per poi trasferirsi a Milano continuando il suo percorso professionale.
In apertura, le riflessioni del Dott. Bortoli riguardano l’evoluzione storica della figura dell’assistente sociale. L’intervistato spiega che il ruolo dell’assistente sociale nasce alla fine degli anni venti durante il primo congresso internazionale del servizio sociale tenutosi a Parigi; congresso che mira a promuovere l’assistenzialismo in tutta l’unione europea.
In Italia, il regime fascista istituì progetti di formazione dedicati al servizio sociale e all’irrobustimento della stessa figura all’interno della società. La formazione richiesta durante gli anni della seconda guerra mondiale, ci riferisce Bruno, doveva essere molto elevata e precisa. Chiunque volesse partecipare ai corsi di formazione per assistenti sociali doveva essere in possesso di un diploma di scuola superiore o di una laurea.
Proseguendo, il Dott. Bortoli sostiene che l’effetto della seconda guerra mondiale per l’assistenza sociale fu incentivante. La fine del conflitto e l’avvento della democrazia aumentava la convinzione di dedicare impegno alla sicurezza sociale accrescendo il numero di figure per lo sviluppo di quest’ultima. L’idea di insistere e investire sulla formazione in campo assistenzialistico si sviluppa maggiormente e i diplomati in questo settore si moltiplicano rendendo l’Italia un paese aggiornato come altri stati o continenti (Stati Uniti d’America).
Gli aiuti internazionali come i contributi delle Nazioni Unite per lo sviluppo dei servizi sociali, ci dice Bruno, sono stati fondamentali dal punto di vista della ripartenza dello stato Italiano distrutto dal conflitto mondiale.
‘Gli aiuti internazionali prevedevano che le scuole dovessero avere determinati requisiti per esempio dovevano prevedere la frequenza obbligatoria, dovevano prevedere che gli studenti fossero in possesso di un titolo di studio adeguato per la formazione che andavano a ottenere, che il personale che veniva impiegato per l’insegnamento avesse determinate competenze e specificità.’ afferma Bruno.
Proprio grazie a questi finanziamenti si riuscì ad aumentare il numero di sedi sul territorio Italiano, a creare un corpo professionale, a fornire borse di studio e materiali più approfonditi per la formazione dei nuovi operatori sociali.
Gli aiuti internazionali, anche se gradatamente, iniziarono scarseggiare sul finire degli anni ’60.
Un ulteriore declino della cooperazione internazionale per la formazione degli assistenti sociali, ci riferisce, è stato causato dalla delega di competenza in campo assistenziale alle singole regioni, province e comuni Italiani. Questa autonomia regionale ha gravato sul programma nazionale per la formazione degli operatori sociali che già vacillava in termini di finanziamenti economici.
Per quanto riguarda il servizio sociale sul territorio Trentino, alla fine della seconda guerra mondiale, cresce l’esigenza di aprire una scuola di formazione per operatori sociali sulle orme delle scuole internazionali, da cui l’Italia riceveva aggiornamenti e direttive.
La scuola di formazione aperta proprio a Trento ha avuto un’alta risonanza a livello nazionale ed un rilievo notevole per la salvaguardia e il rispetto dei requisiti di formazione degli assistenti sociali.
Grazie all’istituzione della scuola Trentina, dice il Dott. Bortoli, le organizzazioni e le scuole di assistenza sociale iniziano ad ottenere importanza a livello politico sociale. L’inserimento dei nuovi operatori all’interno di enti statali e associazioni lavorative per la difesa della sicurezza rende il ruolo dell’assistente sociale sempre meno marginale e più attivo all’interno della comunità in via di sviluppo.
‘Diciamo che queste innovazioni miravano a proporre la presenza dell’assistente sociale come una figura chiave che favorisce l’integrazione e l’accettazione’ sostiene Bruno.
L’intervista prosegue attraverso le considerazioni del Dott. Bortoli riguardo al cambiamento e all’evoluzione della formazione degli operatori sociali.
Durante gli anni ’90 fu istituzionalizzata la figura dell’assistente sociale e il suo riconoscimento formale concede agli operatori la possibilità di lavorare applicando ciò che avevano appreso nelle scuole di formazione. Oltre a ciò si ufficializza l’inserimento del corso di laurea dedicato all’interno dell’Università e l’assistenzialismo non pare più essere un mero stile di vita. Nonostante i finanziamenti internazionali scarseggiassero, l’impegno dello stato Italiano nei riguardi delle associazioni regionali e provinciali non fu mai del tutto assente. L’appoggio dello stato alle regioni e alle università per sostenere questa importante figura, la sua formazione e la sua attività ha dunque contribuito all’espansione dell’assistenza sociale, diminuendo la possibilità che questo ruolo fosse considerato marginale come purtroppo succederà con l’avvento degli anni 2000.
Da ex professore Bruno commenta soddisfatto la formazione universitaria odierna, riguardo l’assistenza sociale. Si percepisce dalle sue parole che l’inserimento del corso di laurea e l’istituzionalizzazione del ruolo di operatore sociale ha permesso di mantenere viva e alta l’importanza della figura all’interno della società. Comprendiamo dalle sue gestualità e dalle espressioni facciali un’attitudine positiva nei confronti del duro lavoro riposto nelle mani di persone che egli stesso ha formato durante la sua carriera lavorativa.
Il Dott. Bortoli conclude l’intervista con un commento riguardo alla sensibilità che uno studente deve avere per intraprendere un percorso formativo di questo tipo. Il suo discorso ci permette di capire che l’assistenzialismo, per lui, non rimane una materia da insegnare bensì diventa un vero e proprio concetto in cui credere.
La passione per la sicurezza e la dedizione all’aiuto deve permeare nell’essenza della persona che si approccia a questo mondo permettendogli di farne una professione attraverso cui applicare i propri valori.
‘Trovo che oggi come una volta per fare l’assistente sociale occorra sempre, diciamo così, oltre a quello che è l’apparato intellettivo e all’impegno, delle abilità personologiche. Occorrono delle motivazioni, occorre una sensibilità, occorre una coscienza sociale, occorre la convinzione, appunto, che quei valori originali del servizio sociale di uguaglianza e di unicità di ogni persona sono la base della convivenza e di questo lavoro. Penso che in mancanza di questi non esita nemmeno il servizio sociale. Il servizio sociale, qualora non ci fossero più questi valori, morirebbe da solo, non c’è altra alternativa.’ conclude Bruno.