“Un’assistente sociale eroina della Resistenza francese” di Bruno Bortoli – Università Cattolica di Milano
Betty Albrecht (Marsiglia, 1893 – Fresnes, 1943)
Cresciuta nell’alta società protestante, tutto sembrava destinare questa donna, alta un metro e cinquantuno e dagli occhi di un azzurro inconfondibile, a svolgere fino in fondo il ruolo di madre di famiglia. Tutto, salvo il suo temperamento radicale e incontrollabile, il suo status di borghese anticonformista, gli incontri con persone notevoli e i casi della vita. Così la sua biografia devìa da una traiettoria prevedibile per portarla a diventare infermiera, assistente sociale di fabbrica, femminista militante, propagandista della libertà sessuale, compagna di strada del Partito comunista francese (Missyka, 2005).
Berty Wild, fondatrice dell’Unione Mondiale delle Donne contro il Fascismo e martire della resistenza francese al nazifascismo (nome di battaglia: Victoria), nasce il 15 febbraio 1893 nel cuore della vecchia Marsiglia, figlia di Oscar Wild e di Marthe Grosclaude, di origine svizzera.
Dopo gli studi classici al Liceo Montgrand di Marsiglia e poi a Losanna, nel 1911 frequenta i corsi organizzati dalla Croce Rossa per diventare infermiera, conseguendo questa qualifica l’anno successivo. Appena diplomata, alla vigilia della Grande guerra, parte per Londra per impiegarsi come educatrice in un istituto femminile. Dopo lo scoppio delle ostilità rientra a Marsiglia, dove mette a frutto il suo diploma di infermiera presso gli ospedali militari cittadini.
Dopo l’Armistizio, nel dicembre 1918 si sposa a Rotterdam con il banchiere olandese Frédéric Albrecht1 e si stabilisce prima in Olanda e poi, a partire dal 1924, a Londra. Qui, frequentando gli ambienti progressisti, scopre il femminismo, il controllo delle nascite e il socialismo (Guerrand, 1993) e comincia a elaborare la sua prospettiva di emancipazione femminile che in seguito sfocerà in un convinto impegno a favore della contraccezione e della libertà di aborto: comportamenti controcorrente, quando non illegali, nella società francese del suo tempo, alle prese con il problema della denatalità.
Nel 1931 i coniugi Albrecht si separano in modo consensuale e Berty ritorna a Parigi con i figli Frédéric e Mireille. Rimane in buoni rapporti con il marito, che le garantirà sempre di attingere alle sue notevoli disponibilità finanziarie.
La causa femminista
Nel 1933 fonda con mezzi propri la rivista trimestrale Le problème sexuel, nella quale reclama per la donna l’uguaglianza nella famiglia e i diritti legati alla contraccezione (allora vietata e repressa in Francia) e all’aborto.2 Collaborava con lei il sessuologo Jean Dalsace, noto esponente del movimento francese per la creazione dei consultori familiari e il controllo delle nascite. Nella presentazione del primo numero si afferma:
“Vogliamo che ogni esistenza sia desiderata, che tutti i bambini siano accolti con amore e che siano benvenuti al banchetto della vita. (cit. in Guerrand 1993, p. 84)”
La rivista cesserà le pubblicazioni nel 1935, dopo sei numeri, non avendo incontrato il favore del suo pubblico potenziale.
Sempre nello stesso periodo, Berty entra in rapporto con Victor Basch3 professore alla Sorbona e presidente della Ligue des Droits de l’Homme, un organismo istituito nel 1898 in reazione alla vicenda Dreyfus. Al suo interno, Berty trova l’ambiente giusto per lottare a favore della pace e aiutare, a partire dal 1933, i profughi tedeschi vittime del nazismo: ebrei e oppositori politici, ma, in seguito, anche repubblicani antifranchisti riparatisi in Francia. Proprio per combattere meglio il regime nazista, del quale aveva colto in maniera lucida e fin da subito le pericolose derive razziste e antidemocratiche (soprattutto dopo gli accordi di Monaco), fondò l’Unione Mondiale delle Donne contro il Fascismo, un’organizzazione molto vicina al Partito Comunista, per il quale Berty simpatizzava — soprattutto perchè ammirava l’Unione Sovietica e la sua posizione nei confronti della donna — senza tuttavia mai aderirvi formalmente.
Tra il 1930 e il 1940 la Wild risiede spesso a S.te-Maxime, in Costa Azzurra, dove possiede una casa che, negli anni della guerra, sarà una delle basi del movimento di resistenza al quale aveva aderito.
Un servizio sociale clandestino
Nell’ottobre 1936 si impegna in un’altra impresa. Già attiva come volontaria nel servizio sociale della città di Nizza, si rende conto di aver bisogno di ulteriore formazione. La sua scelta cade su Lécole des surintendantes, la scuola francese delle assistenti sociali di fabbrica, sia perché la riteneva — a ragione — più aperta e universalista delle altre scuole, sia perché l’obiettivo principale di Berty era contribuire al miglioramento della condizione operaia femminile. La documentazione del suo biennio formativo è significativa: le relazioni di tirocinio, qualitativamente notevoli, ce la mostrano curiosamente alle prese con compiti materiali e domestici che il suo ambiente benestante le aveva sempre risparmiato.
Durante la scuola avvia una profonda amicizia con Jeanne Sivadon, fervente prote- stante, assistente sociale e formatrice, anche lei al centro di una rete per il sostegno ai perseguitati dal regime nazista e in seguito aderente alla Resistenza. Una volta diplomata, Berty viene assunta alle officine Barbier-Bernard et Turenne, una fabbrica di strumenti ottici per la Marina, e in seguito dalla società Fulmen, alla periferia di Parigi.
Dopo l’armistizio del giugno 1940, su sua richiesta viene trasferita a Vierzon, nel dipartimento dello Cher, assieme alle maestranze dell’officina. Dal punto di vista geografico la fabbrica è in una posizione strategica, perché nelle vicinanze passa la linea di demarcazione tra la zona cosiddetta «libera» e quella occupata. Contemporaneamente al suo servizio in fabbrica Berty inizia, nell’estate del 1940, un’azione clandestina per far passare nella zona sud i prigionieri francesi evasi dai campi d’internamento.
All’inizio del 1941 entra a far parte dei quadri attivi della Resistenza francese. Il suo compito iniziale è quello di battere a macchina i primi bollettini di propaganda del Movimento di Liberazione Nazionale (MLN) creato da Henri Frenay,4 un ufficiale di carriera che diventerà uno dei principali dirigenti della Resistenza francese e che Berty conosce fin dal 1934. Con Frenay, malgrado le opposte idee politiche (lui è un patriota fieramente anticomunista che rimarrà a lungo, nonostante tutto, un fedele pétainista), costruirà un profondo sodalizio affettivo e politico, che si concluderà solo con la morte di lei.
Nella Resistenza gli incarichi assegnati a Berty furono sempre quelli che le per- mettevano di sfruttare il suo ruolo di funzionaria nell’amministrazione assistenziale, e le relative possibilità di movimento, per mantenere i collegamenti, raccogliere informazioni, reclutare nuovi aderenti e raccogliere i fondi necessari.
Nel maggio 1941 si trasferisce a Lione, incaricata dal Ministero della Produzione Industriale e del Lavoro di occuparsi dei problemi della disoccupazione femminile. Per affrontare questa piaga, uno dei suoi primi interventi consiste nel far aprire dei laboratori di sartoria.
A Villeurbanne, nell’hinterland di Lione, hanno sede i locali della Commissione della Disoccupazione da lei diretta. Da qui, approfittando della sua posizione, trasmette informazioni e, nel settembre 1941, riesce a trovare una tipografia che accetta di stampare le due-tremila copie dei fogli di informazione del movimento di Henri Frenay.
Nel 1942 vi è la fusione tra il movimento di Frenay e quello di François de Menthon,5 fusione da cui nasce Combat, un nuovo movimento che si sviluppa sotto la direzione di Frenay con la partecipazione attiva di Berty. Lione in quel periodo è l’epicentro della resistenza e in questa città la Albrecht svolge un ruolo essenziale nell’attività del movimento: assicura la logistica del gruppo e, in modo particolare, il collegamento fra i militanti delle due zone in cui è diviso il Paese. Gli uffici di Villeurbanne divengono rapidamente quelli del movimento e Berty mette a frutto le sue competenze professionali organizzando, fra l’altro, un’iniziativa coerente con il suo impegno sociale: un’attività di servizio sociale per aiutare i membri del movimento imprigionati e le loro famiglie. Si tratta del primo, e unico, servizio sociale clandestino che si conosca.
Ciò che conta è vivere in base ai propri ideali
Il suo ufficio al Commissariato per la disoccupazione, diventato una piattafor- ma della Resistenza, attira l’attenzione della polizia di Vichy. Gli andirivieni sospetti portano all’arresto di Berty, una prima volta, a metà gennaio 1942. Viene rilasciata dopo tre giorni, ma l’amministrazione statale, da cui dipende, la costringe comunque a rassegnare le dimissioni. Alla fine di aprile viene arrestata nuovamente nella sua casa di S.te-Maxime e il mese successivo viene arbitrariamente internata a Vals-les-Bains, nell’Ardèche.
Berty esige di essere processata. Davanti al rifiuto delle autorità inizia uno sciopero della fame di tredici giorni, assieme ad altri detenuti fra i quali Emmanuel Mounier,6 fondatore di «Esprit». Ottiene allora di essere trasferita nella prigione Saint-Josèph di Lione. Viene quindi processata e condannata a sei mesi di reclusione. Anche Frenay, latitante, verrà condannato in contumacia. È in questa occasione che Berty scrive al marito:
“La vita non vale molto e morire non è poi così grave. Ciò che conta è vivere in base all’onore e agli ideali che si hanno. (Albrecht, 2001)”
L’idea che la vita è tale solo se vale la pena di essere vissuta è fondamentale nella biografia della Albrecht. Infatti, la figlia Mireille intitola proprio così il libro in cui riassume i suoi venticinque anni di ricerche condotte per fare luce sulle esatte circostanze dell’arresto e della morte della madre.
Per non tradire
Il processo alla rete Combat, il primo grande processo della Resistenza francese, inizia il 19 ottobre 1942 e riguarda una cinquantina di militanti. L’ 11 novembre l’esercito tedesco invade la Zona Sud della Francia (ovvero la Francia di Vichy), con l’intenzione di mettere fine alla Resistenza che stava per unificarsi sotto la direzione del generale De Gaulle, al quale anche Frenay era in procinto di collegarsi. L’invasione tedesca rischiava di complicare ulteriormente il destino dei prigionieri politici, così Berty decide di simulare la pazzia. Inviata al manicomio lionese di Bron il 28 novembre, viene liberata da un commando di Combat, del quale fanno parte anche la figlia Mireille e il suo medico, l’antivigilia del Natale 1942.
Non acconsente a passare in Inghilterra e si rifugia a Durfort, ai piedi dei Pirenei, e poi a Tolosa. All’inizio del febbraio 1943 raggiunge Frenay a Cluny, dove riprende immediatamente la sua attività clandestina.
Verso la fine di maggio, riesce a convincere la figlia a riparare in Svizzera per evitare l’arresto ma pochi giorni dopo, il 28 maggio 1943, una traditrice del movimento le tende un tranello, fissando un falso appuntamento. Trova ad aspettarla la Gestapo. Viene arrestata, torturata, trasferita alla prigione di Fort Monluc a Lione e poi, il 31 maggio, a Fresnes, nei pressi di Parigi.
Si trova allora di fronte al dilemma di molti militanti: soccombere alle torture e tradire, oppure togliersi la vita. La seconda scelta non era certo di facile soluzione, data la stretta sorveglianza. Posta nel reparto dei detenuti comuni, per caso o — forse — grazie a un suo qualche stratagemma, Berty riesce a sfuggire alla severa sorveglianza riservata ai «politici» e si impicca, in cella, utilizzando il suo foulard, nella notte tra il 31 maggio e il 1° giugno.
Il suo corpo sarà ritrovato nel frutteto della prigione due anni dopo, nel maggio 1945, e verrà traslato al Mont Valérien,7 nei pressi di Parigi, dove De Gaulle volle il sacrario degli eroi della Resistenza francese.
Non fu l’unico riconoscimento tributatole. Come eroina della Resistenza, Berty Albrecht è una delle sei donne insignite de l’Ordre des Compagnons de la Libération (decreto del 26 agosto 1943), il massimo riconoscimento dei resistenti francesi. Il suo nome appare fra quelli incisi sui muri del Pantheon, per ricordare gli intellettuali morti nelle due guerre mondiali. Una via di Parigi, nei pressi dell’Arc-de-Triomphe, è a lei dedicata.
Militante della liberazione sessuale, del servizio sociale e della Resistenza8 la Albrecht incarna una delle figure più significative dell’impegno politico e sociale nel periodo tra le due guerre. Tuttavia, solo recentemente sono stati messi in evidenza i diversi aspetti della sua biografia, fra i quali, in primo luogo, il suo originale e precoce contributo al movimento dell’emancipazione femminile.
Berty Albrecht viene onorata per essere morta senza aver tradito, simbolo perfetto del coraggio di chi si è impegnato ad affermare i valori civili di diritto e libertà e l’amore per la Patria. Ma Berty Albrecht era prima di tutto una donna che rifiutava i condizionamenti imposti alle donne della sua epoca e del suo ceto sociale. Non sopportava gli stretti vincoli matrimoniali e tutta la sua esistenza fu orientata verso un obiettivo: migliorare la vita delle donne attraverso l’uguaglianza dei sessi e la libera disponibilità del loro corpo. Questa idea è oggi molto diffusa, ma negli anni Venti non soltanto era contraria alla legge ma risultava audace, se non immorale, agli occhi della maggioranza delle stesse femministe.
La sua volontà di vivere libera, senza limiti posti dall’esterno, è stata lodata come una qualità preziosa che la portava ad agire in modo appassionato, senza aspettare, per contrastare la disfatta della Francia e resistere all’occupante. Quella stessa passione di libertà, però, è stata considerata forse troppo d’avanguardia quando serviva invece la causa femminista: quella che è stata, in definitiva, la grande causa della sua vita (Missyka, 2005).
Bibliografìa
Albrecht M. (1986), La grande figure féminine de la résistance: Berty, Paris, Laffont.
Albrecht M. (2001), Vivre au lieu d’exister, Paris, Ed. du Rocher,
Guerrand R.H. (1993), Berty Albrecht 1893-1943, «Vie sociale», n.3/4, pp. 83-86.
Missika D. (2005), Berty Albrecht, Paris, Perrin.
Poujol G. (2003), Un féminisme sous tutelle. Les protestantes françaises 1860-1960. Paris, Éditions de Paris.
© Edizioni Erickson Lavoro sociale
https://www.ordredelaliberation.fr/fr/compagnons/berty-albrecht, sito consultato nel giugno del 2021.
Note:
Fonte: La rivista del lavoro sociale, Vol. 6, n. 2, (set.2006) p. 277-282